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Schermo, schermo delle mie trame...

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24 mar 2006

L'isola della fiction

Luca Zingaretti lascia Montalbano. Vuole diventare regista: “Per me è arrivato il momento, com’era accaduto a Michele Placido con il commissario Cattani”. Destini incrociati in terra siciliana. Destini incrociati in tv e al cinema. Perché anche Placido è diventato regista. E perché, quando recitano nei film, sia Zingaretti che Placido diventano cattivissimi, trasformandosi in poliziotti corrotti e corruttori, banchieri privi di scrupoli, mariti fedifraghi. Per poi rituffarsi in tv con personaggi buoni come il pane, vedi Perlasca e Padre Pio.

Però. Se Zingaretti lascia Montalbano, non è che Montalbano ci abbandoni pure lui. Come non ci ha abbandonato al nostro destino il commissario della Piovra, benché crivellato di colpi nell’agguato mafioso del 20 marzo 1989. “Assassinato come Cassarà”, scrisse allora il quotidiano “La Repubblica”.

Commissario Cattani

Il 2 giugno 2005 Cattani è ritornato in televisione. Senza esitazione ha imbracciato l’arma del dialogo per far trionfare il Bene sul Male. L’ha fatto in un video di 34 secondi destinato a Tolo Tv, la televisione afgana che qualche giorno prima aveva trasmesso le immagini di Clementina Cantoni sequestrata a Kabul sotto la minaccia dei kalashnikov di Timor Shah.

In primissimo piano, Michele Placido guarda diritto nella telecamera e lancia un appello: “Salam aleikum. Sono il commissario Cattani. Vi ricordate di me? Conosco il vostro Paese, sono stato a Kabul per girare un film sul ritiro dell’Armata Rossa. Come Clementina Cantoni anch’io sono italiano. Clementina si è dedicata così tanto per aiutare il popolo afgano. Ciascuno di voi adesso può aiutarla a tornare sana e salva. Per favore aiutate Clementina!”. Tradotto con i sottotitoli in lingua Dari, nonostante siano passati 14 anni dalla messa in onda in Afghanistan della Piovra, la faccia di Cattani parla ancora una lingua universale. E Clementina Cantoni verrà rilasciata sana e salva.

Non c’è che dire. Dentro e fuori il set, i nostri eroi ci proteggono, ci rassicurano, ci consolano. Non sono divi sfaticati e narcisisti. Al contrario delle star di Beautiful, E.R., OC, CSI, i personaggi delle fiction italiane ci danno appuntamento nella realtà. Dove continuano a darsi da fare per noi, a prendersi cura di noi. Come numi tutelari.

Commissario Montalbano

Anche Montalbano mantiene la promessa. Se ne va, ma ci consegna le chiavi della sua bella casa a Punta Secca, in provincia di Ragusa, sul mare azzurrissimo, sulla sabbia finissima. Ha attrezzato il villino come un comodo bed & breakfast (a tre stelle). Quattro camere alla modica cifra di 30-54 euro. Per una manciata di euro si può scattare anche una foto dal balcone, prendere l’aperitivo in terrazza, visitare il soggiorno.

Montalbano ha trasformato un paese della fantasia in luogo reale. Un incantesimo a cui presto ne seguirà un altro: la Vigàta sette-ottocentesca dei romanzi di Andrea Camilleri costruita con tanto di palazzi, piazze, chiese, vicoli e porto sul mare. Sarà il set storico del “Re di Girgenti”, il “Birraio di Preston” e “La scomparsa di Patò”.  Poi diventerà un parco tematico tipo Disneyland. Per una inedita, esaltante esperienza di turismo post-televisivo.

A due passi dalla Piovra del tribolato, solitario Corrado Cattani.

16 mar 2006

Io ti salverò

Ormai è un mese che lo pedino. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì. Lui è un tipo preciso: so che si materializzerà su RaiDue tra le 16,07 e le 16,10. Al posto tuo Così ovunque mi trovo, lo scovo. Al plasma, a cristalli liquidi, catodico. In formato 4:3 o 16:9.

Sempre diverso e sempre uguale. Come le mie domande, tante domande aperte mentre aspetto la sua apparizione sullo schermo. Che papillon indosserà oggi: scozzese o a pois? Quanti millimetri di righe bianche attraverseranno la camicia azzurra? Rosso o verde il panciotto di lana? E la giacca con le spalle scese: terrabruciata o cartadazucchero? Il disegno del fazzoletto da taschino: jacquard o a fiorellini?

Al posto tuo

Lui è il mio psicologo, il dottor Domenico Mazzullo. Ha pochi minuti a disposizione nella foresta narrativa di Al posto tuo, percorsa in lungo e in largo dalla conduttrice Lorena Bianchetti con il suo panierino di storie realmente accadute e interpretate, in forma di sceneggiato, dagli attori inchiodati sulle poltroncine rosse al centro dello studio. Roba da drammaturgia teatrale che in tv non si vedeva dai tempi di Vivere insieme (1962 o giù di lì). Corredata dalle indicazioni della sessuologa, la dottoressa Petrone, che ci incita ad essere timonieri della nostra vita. E dai punti di vista di Giada, Concita, Isabel in postazione tra il pubblico, con i capelli freschi di parrucchiere e il microfono ben saldo in mano, a segnalarci che “non dobbiamo forzare gli eventi, dobbiamo leggerli, gli eventi”.

Sono le 16,08. E’ il momento del dottor Mazzullo. Poche parole ponderate, ma tutto sommato superflue.  Giacché, mentre parla, la vera terapia si spalma sul papillon, sul fazzoletto da taschino, sulla camicia, sulla giacca del mio psicologo. Che anche oggi gioca sulle sfumature. Coordinando il suo habitus per gradazioni di colore (lunedì toni del marrone, martedì toni del blu, mercoledì toni del verde) e per variazioni degli accessori (lunedì il papillon, martedì la camicia, mercoledì il fazzoletto da taschino, giovedì la giacca). Leitmotiv: un enigmatico forchettone d’argento infilzato nel bavero della giacca.

Mi fa sentire molto meglio, questo appuntamento quotidiano con il guardaroba del dottor Mazzullo.

Paolo Crepet non mi faceva proprio più effetto. Ho abbandonato senza rimpianti la terapia meteo-cromatica dello psichiatra di Porta a Porta. Colori e tessuti associati all’aria che tira, all’argomento della serata. Pantaloni di velluto arancione per omicidi a sfondo sessuale. Maglioni di cachemire turchese per il caso Cogne. Polacchine scamosciate nocciola per la chirurgia estetica. Calzini di lana rosso cinabro per storie di pedofilia.

Crepet dice che con i tempi che corrono ci vogliono le tinte forti. Il dottor Mazzullo no.

A noi telepazienti Mazzullo insegna a cavarcela tono su tono. Niente spettacolo vistoso, niente colori sgargianti, niente accostamenti per contrasto. Il docu-drama della vita è un puzzle, e un puzzle è composto di sfumature. Per capirci qualcosa, per mettere al posto loro le mille tessere che compongono una storia bisogna interrogare ciò che generalmente non si nota, non viene ricordato, ciò che non ha importanza: quello che accade quando non accade niente.

Esèrcitati nel lavoro pratico del vedere, mi ha detto il dottor Mazzullo dandomi appuntamento a domani. Procedi lentamente, piattamente. Guarda la mia danza dei dettagli, poi descrivi e classifica: giorno dopo giorno, mese dopo mese. E io ti salverò.

8 mar 2006

Desideri in ebollizione

C’è l’uomo colonnina e c’è l’uomo boiler. Il primo ti fa vivere in una gabbia dorata e tu ti ci appoggi volentieri. Relazioni Pericolose 1 Il secondo si accende e si spegne con on/off. L’uomo colonnina è da lasciare, anche se ricco e strafigo, allorché conquisti la consapevolezza che la vita è solo tua. L’uomo boiler va incoraggiato sempre e aiutato pure nel sesso, perché non puoi pretendere che trovi subito il punto G se non trova neanche i calzini nel cassetto.

E così il lessico del talk show affranca le parole della domesticità per parlare di desideri. Desideri: è chiaro che noi donne non vogliamo più rinunciarvi, soprattutto quando le brame si trasformano in Relazioni pericolose, come il programma di La7, ogni domenica alle 23,40.

Un titolo pescato dalla letteratura (e dalle sue versioni cinematografiche) per raccontare storie di coppia dal côté femminile, presentate da Camila Raznovich-Glenn Close e rimestate dal medico Maurizio Bini, dall’attrice-scrittrice Alessandra Faiella e dall’ospite della prima puntata Remo Girone.

Relazioni Pericolose 2

A Bini-Faiella-Girone piacciono molto le espressioni figurate: “La coppia deve essere flessibile come un bambù”, dice Girone. “E’ una donna che ha il coraggio di tirare fuori il suo inzoccolimento”, commenta la Faiella a proposito di Barbara, protagonista di una storia virtuale che si è trasformata in matrimonio, ma che non la fa desistere dal chattare alla ricerca di nuove amicizie interessanti. “Ogni storia ha la sua storia”, taglia corto la conduttrice.

Relazioni Pericolose 3

Le redini del carro allegorico passano al dottor Bini: “I desideri sono il motore della vita, però non possiamo sempre concentrarci sul motore: bisogna considerare se la nostra carrozzeria è in grado di reggere la potenza di quel motore. E se, pur avendo vinto questa gara con la potente macchina del desiderio, quella coppa che dobbiamo alzare non sia poi troppo pesante per noi”. Me lo dica più semplicemente, dottore: “Se invece di usare tutte le energie per realizzare i nostri desideri ne conserviamo un po’ per capire se sono davvero i nostri desideri, facciamo qualche piccolo incidente in meno”. Adesso ho capito, dottore: mi compro una Panda di seconda mano (insieme alla Faiella) e mi do una calmata. Addio alle relazioni pericolose.

Sembrava finita con questa doccia fredda, ma il rombo dei desideri ha interrotto il finalino. Con due spot  pubblicitari. Il primo targato Alfa Romeo: “La vita umana non è altro che un gioco della follia. Il cuore ha sempre ragione”. Il secondo targato Bmw: “Sono le condizioni peggiori a rendere le cose straordinarie”.

E a questo punto mi è tornato in mente il visconte di Valmont, con la faccia di John Malkovich nel film Le Relazioni pericolose di Stephen Frears. Ogni qualvolta la sua macchina del desiderio andava in ebollizione, Valmont mormorava alla marchesa di Merteuil (Glenn Close): "Trascende il mio controllo”. Trascende il mio controllo: epigrafico e sublime come uno spot. Perfetto per la mia Panda usata, alla faccia dei piccoli incidenti.

28 feb 2006

“Il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile”(Oscar Wilde)

“Un giorno stavo guardando la tv e improvvisamente la tv è implosa. Ho pensato che si fosse risentita perché ne parlavo sempre male, e così per rispettare il suo disappunto ho deciso di non guardarla più”. Amélie Nothomb, autrice belga di romanzi di successo, ieri sera è stata ospite di Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni nello studio di Otto e mezzo.

Amelie 1

Non guarda la tv ma è entrata nello schermo di La7 per lanciare il suo Acido solforico, Voland editore: la storia di un reality show che simula in tutto e per tutto un campo di concentramento, con i prigionieri-concorrenti umiliati e picchiati da kapò armati di manganello e la morte decretata col telecomando dal pubblico a casa.

Amèlie è vestita come mercoledì scorso, quando ha presentato il libro da Feltrinelli, alla Galleria Colonna di Roma (l’intervista televisiva è stata registrata la sera stessa, dopo l’incontro in libreria). Un abito-cappottone nero che le arriva ai piedi ed un enorme cappello comprato a Venezia: “Mi hanno detto che è il cappello con il quale i medici avevano curato la peste nel XVII secolo. Bon, mi sono sentita di dover portare avanti quella missione”. Mission Impossible: salvarci dalla peste del reality. Boicottandolo, facendo resistenza, cambiando canale.

Amelie 2

Più che un simbolo terapeutico, però, quel cappello sembra proteggerla dai linguaggi della contemporaneità.

“Sono una scrittrice preistorica: non uso il computer, né Internet, credo che l’e-mail possa spingere a gradi di involgarimento rispetto alla scrittura a mano di una lettera. E non ho visto neanche due secondi di reality show, mai”.

Ma allora come ha fatto a scriverci un libro?, chiede con molto buonsenso Giuliano Ferrara. E lei: “La cosa terribile è che non è necessario vederli: tutti ne parlano, le posso raccontare tutto un reality senza averlo mai visto”.

Amelie 3

Si mette le ali del paradosso e si trasforma in un personaggio terribilmente telegenico, Amélie, col suo viso da favola inquieta in primissimo piano. Mercoledì scorso alla Libreria Feltrinelli il pubblico la guardava incantato nelle telecamerine digitali che si era portato da casa.  Per riportarsi, a casa, un pezzetto del suo fascino ibrido di mezzo lupo e mezzo cappuccetto rosso, come l’ha definita un critico.

Ammutolisce persino Ferrara, nello studio di La7, allorché Amélie gli risponde: “Avrò raggiunto il mio scopo quando non dovrò più venire in televisione perché i miei libri siano letti”.

Intanto è qui, malgré soi, come i personaggi del suo romanzo, a fare l’animale televisivo. Di razza. Come l’avrebbe fatto - l’animale telegenico -  un suo collega scrittore di nome Oscar Wilde, se solo la televisione fosse esistita nel 1890. Ma Wilde fu costretto a dirottare la propria immagine su un ritratto: e il suo alter ego Dorian Gray, viste le conseguenze, ancora non glielo ha perdonato.

24 feb 2006

E' arrivata la bufera

Domenica scorsa, alle 20 e 30 circa, Napoleone-Cornacchione si è collegato con RaiTre da Montecitorio per farsi intervistare sul nuovo Còrso della storia. Ed è stata, in effetti, una piccola, travolgente lezione di storia post-moderna. Napoleone ha messo sottosopra le ordinarie coordinate spazio-temporali (“Viene prima il Novecento e poi l’Ottocento”, “Ho un sondaggio: a Waterloo vinceremo!”). Ha sovvertito le gerarchie dei personaggi (sotto la felùca, la bandana). Ha dissestato le regole del galateo (sotto il cappottone, le corna).

Renato Rascel

Apriti cielo: una bufera.

“E’ arrivata la bufera, è arrivato il temporale, chi sta bene e chi sta male…”. Cose che accadono da che mondo è mondo, da che Napoleone è Napoleone, da che televisione è televisione.

Oggi, 2006, i Consiglieri di centrodestra del Cda Rai tuonano: violazione gravissima della par condicio.

Ieri, 1956 (fanno giusto cinquant’anni), un ordine di servizio della Direzione Rai vieta a tutti i dipendenti di rilasciare interviste, collaborare con i giornali, partecipare a convegni.

Mentre lui, il Generale piccoletto canta, balla, recita, lava e stira il suo varietà del sabato sera. In bianco e nero. Ammettendo: “Sono così distratto, ma tanto distratto, che mi sono dimenticato di crescere”. Una massima da palleggiare liberamente tra còrsi e ricórsi della storia televisiva.

20 feb 2006

Voglio una storia spericolata

JT LeRoy, l’autore di Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, non esiste. La cruda autobiografia dell’adolescente inquieto che si fa chiamare Terminator, JT LeRoy nato in una famiglia disastrata della West Virginia, travestito, drogato e sieropositivo aveva commosso lettori, giornalisti, editori. Aveva spinto star famose a dargli una mano per curarsi dall’Hiv. Dieci anni di culto letterario. Poi, la notizia ufficiale di qualche settimana fa sul “New York Times”: non c’è nessun LeRoy.

O meglio, LeRoy è un impasto di Laura Albert (quarantenne newyorchese che ha scritto i romanzi e ha ingannato al telefono editor, scrittori e celebrità con la voce contraffatta di un ragazzo con l'accento del West Virginia) e di Savannah Knoop, sorella del fidanzato di Laura, che ha incarnato LeRoy in interviste, tournée, letture pubbliche, sempre bardata di parrucche e occhiali da sole.

A pochi giorni dallo scandalo LeRoy, anche James Frey (autore di In un milione di piccoli pezzi: tre milioni e mezzo di copie vendute) è stato pubblicamente sbugiardato da Oprah Winfrey, conduttrice del più popolare talk show televisivo degli Stati Uniti. Motivo: non è mai stato alcolizzato, tossico, e carcerato come scrive nel suo libro di memorie.

Un anno fa toccò a Piano Man (alias Andreas Grassl), muto per quattro mesi dopo essere stato ripescato su una spiaggia nel Kent con i vestiti fradici d’acqua, incapace di comunicare se non con i tasti del pianoforte. Fu riacciuffato dalla sua “vera” storia quando ormai ce l’aveva quasi fatta: a diventare celebre in un reality show.

Franco Alvisi

Chissà se ce la farà a navigare in questi rivoli narrativi Franco Alvisi, il poeta (dottorando di ricerca all’Università di Bologna) della casa del Grande Fratello. Ha già pubblicato un libro di poesie e ne ha pronti altri due, ma ha deciso di farli uscire entrambi dopo l'esperienza televisiva, così da poter approfittare della notorietà acquisita.

Questa settimana confessa di non voler lasciare la casa dei Tapini per trasferirsi in quella dei Nababbi: “Mi piace questa dimensione di povertà. Chi è più ricco? Chi ha tanti ori o chi ha tanti racconti?”

14 feb 2006

La fiction fa scuola

Domani sera torna La squadra. Su RaiTre. “Un racconto del mondo e della realtà in cui viviamo” (così lo definiscono gli autori), in collaborazione con il Ministero degli Interni Dipartimento di Pubblica Sicurezza e Polizia di Stato.

La Squadra

Un matrimonio tra finzione e realtà arrivato al settimo anno senza ombra di crisi. Di qua e di là dal vetro, con le tapparelle avvolgibili (quelle “veneziane” che non mancano mai nelle serie ambientate tra commissariati e ospedali) a ricordarci quanto sottile sia il filtro che separa il dentro e il fuori. Tanto sottile che attori e autori stanno partendo in tournée nelle scuole italiane (prima tappa Foggia, il 17 febbraio) per una serie di incontri con studenti e professori, durante i quali affronteranno temi di interesse sociale trattati nei vari episodi della fiction.

Mentre la meritoria Squadra fa scuola con la sua spietata guerra alla camorra, la ’ndrangheta si organizza: e va a scuola di fiction.

Impara presto, la ’ndrangheta, i mirabolanti colpi di scena del “genere”: sceglie una serie istituzionale come Gente di mare, la prima dedicata alla Guardia Costiera, con le sue divise candide e le 250 barche e motovedette che scorazzano sulla costa calabra per coadiuvare le avventure del giovane ufficiale Angelo Sammarco/Lorenzo Crespi (reduce da Carabinieri). E si incunea, la ’ndrangheta, tra storie di malavita e primi amori che non si scordano mai.

11 feb 2006

La fiaccola sotto il monitor

Torino. XX Giochi Olimpici Invernali. Serata inaugurale. Da studiare con il corrimano de “Le grandi cerimonie dei media” di Dayan e Katz, libro-culto per gli studiosi di comunicazione, La fiaccola olimpica sulle dinamiche di costruzione dei grandi eventi televisivi. O da arrostire sul barbecue griffato Pininfarina (strano, avrei detto Alessi o Guzzini). E da offrire in pasto alle telecamerine digitali degli atleti che sfilano, dietro la loro nivea matrioska, divertendosi come fanciulli in gita scolastica. Sorridenti ed euforici sotto il pelo dei colbacchi e le visierine di cachemire, dimentichi delle scarpinate che li aspettano l’indomani. Filmano il pubblico di fantasmini torinesi sugli spalti dello stadio olimpico e già si immaginano tra venti giorni, quando stravaccati sul divano di casa indicheranno agli amici le mille telecamere e telecamerine che li riprendono. Anche loro turisti: turisti per sport.

2 feb 2006

Specchi retrovisori

Giovanni e Giovanna Arnolfini sono una facoltosa coppia del Nord. Lui è un ricco mercante di Lucca, che viaggia spesso all’estero (tra Francia, Belgio e Olanda) per affari. Lei - che da nubile fa Cenami - a sua volta è figlia di un mercante italiano. Ritratto dei coniugi Arnolfini

Giovanna non vede l’ora di mettersi in gioco. Come? Scambiando la sua vita quotidiana con quella di un’altra moglie. Non vede l’ora di lasciare la sua camera da letto, il tappeto, il portalampade con quell’unica candela sempre accesa, gli zoccoli di legno del marito abbandonati sul pavimento da una vita, la frutta cristallizzata sul davanzale, il rosario sulla parete e soprattutto quello specchio. Odioso. Lo specchio convesso non lo sopporta proprio più: sei secoli a menarla con ’sta storia della luce, la prospettiva, la rappresentazione dello spazio a 360°, il doppio punto di vista del pittore e dei personaggi ritratti, il realismo della scena… Al rogo pure ’sto vestito impossibile che indica la fertilità: voglio mettermi una tutina felpata rosa shocking e tenere l’ombelico da fuori.

Anche al cagnetto da compagnia, sempre fisso e teso a guardare in macchina, Giovanna Arnolfini ha detto basta. Sperando che la mandino in una graziosa villetta a schiera, con sauna nel seminterrato, un alano in giardino e che non fumino troppo.

logo reality

Insomma, non sta nella pelle. Esco da ’sto quadro fiammingo e mi infilo in un quadro fiammante. Sì, evviva il reality: Cambio moglie! Per otto giorni: i primi quattro accetterò il decalogo della casa, poi potrò cambiare le regole e le abitudini del marito e dei figli dell’altra. Questa esperienza da scambista mi farà bene, e farà bene pure a lui, dove la trova un’altra come me? Un bacio a Giovanni e via sull’aereo.

Poche ore e Giovanna sbarca a Bisceglie (e pensare che in un conato nordico aveva invocato: “Speriamo non mi mandino in Terronia”): in una casa popolare l’aspettano un marito in canottiera e tre figli disoccupati. A lavare piatti e svuotare ceneriere. Mentre l’altra moglie chissà, se la starà spassando nella sua camera da letto a guardarsi nello specchio convesso. Ahi, ahi, la nostalgia di casa! Giovanna Cenami in Arnolfini versa una lacrima, pensando alla cornice dello specchio istoriata con le scene della passione di Cristo. Che regole vuoi cambiare qui (“Terroni sono e rimarranno sempre terroni”)? Quanti giorni mancano al ritorno a casa?

Cambio moglie

Sfiancata dai lavori domestici, Giovanna accende la tv. E’ sabato sera, seconda serata. Su La7 danno Così è la vita. Un’infilata di coniugi sul divano che raccontano le loro storie d’amore. “Che forse assomigliano alle vostre”, suggerisce la voce fuori campo. Giovanna è avvinta dalle immagini, dalle voci, dalle confessioni. “Quali sono i tre fattori che tengono in piedi una coppia?”, chiede la vfc. “Stima, rispetto e business”, rispondono due sposini che hanno già deciso come chiameranno il figlio in arrivo: PierSilvio. “Volersi bene, dialogare, considerare il coniuge almeno all’altezza di se stesso”, dice un’altra coppia che ha scapolato i 58 anni di matrimonio.

Comunque vada, il giorno delle nozze è sempre il giorno più bello della vita. Anche per un “lui” del profondo Sud che sdraiato sul letto ricorda sorridendo la sua consorte tedesca a corto di lingua italiana che “mi diceva tu sei il mio errore invece di dire tu sei il mio eroe”. Sì, così è la vita matrimoniale: un lapsus, un raptus.

E’ passata mezzanotte. Giovanna si è addormentata in cucina con la tv accesa. Sogna. Sogna il suo maestro di illusioni ottiche che dipinge lo specchio convesso e canticchia: “Siamo indivisibiliiii, siamo uguali e fragiliiiii……” Il quadro commissionato per il suo matrimonio è pronto. L’ultima pennellata è per la firma, proprio sopra lo specchio: «Johannes de Eyck fuit hic 1434»: Jan van Eyck è stato qui.

20 gen 2006

La Cina è vicina

Ieri è cominciato ufficialmente l’anno dell’Italia in Cina. Li abbiamo fatti piangere di gioia, a Pechino, inviandogli in esposizione 82 capolavori dell’arte italiana, tra cui opere di Mantenga, Botticelli, Leonardo, Raffaello, Caravaggio.

La cina è vicina

Li abbiamo lasciati senza parole. Ma anche loro ci hanno stupito, ricambiando la cortesia - proprio ieri in prima serata - con un’opera di body art: Man Lò Zhang.

Calzette da Pippi Calzelunghe, nastrino a giarrettiera, abituzzo variopinto indossato sopra i jeans. Abbiamo pianto di commozione anche noi.

Dicono i cinesi: “I vostri capolavori del Rinascimento ci aiutano a recuperare più in fretta il tempo perduto”.

Man Lò

Rispondiamo dall’Italia: “Man Lò ci aiuterà a vivere meglio la Casa del Grande Fratello”. Perché lei frequenta il secondo anno al Dams di Bologna e studia i meccanismi della tv. Per diventare regista.

Però ieri sera non abbiamo dato a Man Lò tutto l’onore che meritava. Troppo presi dal Padre Pio tatuato sul braccio di Fabiano e dalla mamma di Elena che ha messo i cagnetti davanti alla tv, così guardano la loro padroncina al Grande Fratello. Troppo presi, giustamente, dal drammatico scontro al televoto tra Augusto, rapito quando aveva dieci anni dall’Anonima sarda e Danilo, pizzaiolo sardo che dopo il verdetto di esclusione ha esclamato: “Mi hanno fatto passare per un bandito!”.

Così abbiamo dimenticato che la Cina è vicina.

Bisognerà riparlarne: della nostra sindrome di Stoccolma, della loro sindrome di Stendhal.

12 gen 2006

I migliori treni della nostra vita

Puntuale come Trenitalia, la locomotiva dei fratelli Lumière piomba sul pubblico della televisione. Centodieci anni dopo.

La locomotiva - fratelli Lumière

Il 6 gennaio 1896 L'arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat scatenò il putiferio tra gli spettatori parigini, che fuggirono dalla sala per paura di essere travolti dall’immagine incombente sullo schermo. Il 7 gennaio 2006 Il treno dei desideri precipita nel Teatro 10 di Cinecittà con buona pace di chi in seconda classe ci passa gran parte dell’esistenza.

“I treni sono veramente un po’ una metafora della vita”, esordisce Antonella Clerici. E voilà. Poche ore dopo il debutto su RaiUno, il deragliamento dell’intercity Lecce-Milano blocca migliaia di passeggeri nella stazione di Civitanova Marche e getta nel caos il traffico Nord-Sud. Come non bastassero la guerra della Tav in Val di Susa, le zecche sul Torino-Siracusa, le gaffes sulla stazione fantasma di Matera.

Certo, se ci mettiamo a giocare con le coincidenze ne saremo fatalmente travolti. Dribblando gli schiaffoni rifilati da Amici miei ai passeggeri affacciati ai finestrini e il binario 9 e ¾ di Harry Potter contro cui sbattere la testa, saliamo sul people show della Clerici.

Antonella Clerici

Nelle sue mani il format diventa sformato. Facce, gesti, lacrime e tormentoni saccheggiati da altri programmi (un po’ della Carrà di Sogni, della De Filippi di C’è posta per te, di Stranamore, dei Magnifici cinque), impastati paciosamente e versati tutti insieme in un unico stampo.

Nel vagone ristorante salgono Luca ed Elena, coppia di Mesagne, provincia di Brindisi, con Giulia, la loro bambina di due anni. Sale anche un architetto che dice: coroniamo il loro sogno, e spedisce la coppia in vacanza a Sharm el Sheik. Nel frattempo la tv rifà la loro casa: lucide mattonelle nel bagno, elettrodomestici di grido in cucina, foto nelle cornicette d’argento, libri negli scaffali, poster di papaveri in salotto e di ninfee in camera da letto, affresco con Biancaneve e i sette nani nella cameretta di Giulia. Luca ed Elena tornano da Sharm e… sorpresa! Lacrime di felicità di Elena, sguardo perso di Luca: è un gioco tutto al femminile questa tv che riscrive la quotidianità, confeziona la casetta dei sogni e una seconda pelle con cui abitarla.

Ma il treno dei desideri ha un controllore scrupoloso. Il supplemento non è stato pagato: Luca ed Elena non sono sposati. Ebbene, alla faccia dei Pacs, RaiUno combina un matrimonio religioso in diretta televisiva e per celebrarlo come Dio comanda ottiene finanche la dispensa ecclesiastica. Per la prima volta in tv, ecco un vero matrimonio, una vera chiesa, una vera omelia recitata da un vero parroco:  “Tutto come in una favola. Però è vero. Non volevamo mancare come segno di una chiesa familiare. Un grazie particolare alla Rai. Siamo diventati spettacolo. Ma intendetemi, San Paolo dice: Siamo diventati spettacolo davanti a tutti. Vogliono vedere la nostra fede e il nostro amore. Ed è uno spettacolo bello.”

Sul grande schermo del Teatro 10 assistiamo alla benedizione. Siete sposi. Ringraziamo il Signore. Alleluja! Clerici: “Sono emozionata anch’io delle emozioni degli altri. Condurre emozioni non è facile. E’ facile condurre programmi, ma emozioni è più difficile”.

Fuochi d’artificio, valzer viennese e i due sposi che si baciano. “In cinemascope, direbbe mia nonna”, conclude la capotreno. Che, immemore dello Specchio segreto di Nanni Loy, sbandiera la linea editoriale della Prima Rete Teleferroviaria: “La vita è un sogno. I sogni aiutano a vivere”.

3 gen 2006

Anno nuovo, Face/Off

Le manìe e le smànie del trasformismo non stanno risparmiando niente e nessuno. Varietà, talk show, reality, tg, fiction: anche il 2006, lo sento, sarà un anno di grandi trasformazioni. A cominciare dalle metamorfosi degli spazzoloni e della carta igienica che impazzano negli spot pubblicitari: niente è come lo vediamo, anche il più banale utensile domestico ha imparato l’arte del fregolismo. E lo dichiara apertamente: l’importante è stupire, cambiandoci sotto il naso l’immagine che ci siamo fatti di lui.

Vengono in soccorso le esclamazioni più corrive adottate dalla nazione intera: “E nun famoce riconoscere!” Nip/Tuck (a lasciarsi prendere la mano, anche Totò: “Ma mi faccia il piacere!”). Un momento, però: salvare la faccia e perdere la faccia non sono modi di dire o trite formulette idiomatiche, bensì regole ferree del galateo televisivo. Che è un gioco, ma come tutti i giochi segue una sua normativa linguistica e visiva.

Se nella Miami di Nip/Tuck il gioco di reinventarsi una faccia è riservato ai già belli che non sanno quello che vogliono (siamo nel mondo della fiction), per le casalinghe sfigurate (nella realtà) si af-faccia una nuova possibile identità edificata con il volto di un donatore morto (e ignoto). Il primo trapianto di faccia effettuato un mese fa ad Amiens, nel nord della Francia, (a proposito come sta la paziente?) ha ottenuto, presso la corte di teologi psicologi e opinionisti televisivi, un ritorno di immagine pari ai sondaggi in materia di castrazione di violentatori e pedofili promossi in questi giorni dai media.

Trapianto di faccia Gad Lerner sbarbato Simona Ventura a 120 anni

Con le identità posticce ha giocato recentemente anche Gad Lerner, fotografato nella sua cascina piemontese in compagnia del cagnetto meticcio, di un bel bicchiere di Barabba (il vino rosso che lui stesso produce) e incorniciato da una barba da lupo grigio. “La riscoperta a tutti i costi delle origini, della tipicità, quel certo cardo, quel cappone, quella vigna è una bugia. E’ l’incapacità di guardare davvero all’oggi e al domani, ma soprattutto al nostro essere bastardi, frutto di incroci, di scambi, di viaggi”. Dopodichè Lerner ha momentaneamente lasciato la versione campagnola per tornare nei panni di infedele conduttore televisivo, ma non prima di radersi la barba ed eclissare così “il bastardo che è in noi”.

Andate e ritorni. Stanca di av-Ventura, anche Simo fa il suo gioco e dichiara pubblicamente di essersi rifatta il seno. Immediata la nemesi mediatica. La rivista “OK salute” ci mostra come sarà la sua faccia all’età di 120 anni. Pardon, come dovrebbe essere, se il mondo girasse come una ruota. E allora, in tema di auguri: che la Ruota della fortuna la assista con lo stesso zelo con cui assiste il suo epico presentatore.