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Schermo, schermo delle mie trame...

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03 feb 2007

Raccontala ancora

Compie cinquant’anni, oggi. Sotto la tortura dei ricordi, potrei dire: toglietemi tutto della mia infanzia, ma non Carosello. Sono nel luogo comune, giacché secondo il sondaggio che pubblicitari, esperti di marketing, sociologi e psicologi hanno fatto su un focus di telespettatori tra gli 11 anni e i 60, i personaggi di Carosello sono ancora oggi “più efficaci e forti rispetto anche alle più famose star di Hollywood”.

Il gigante amico

Un piccolo focus l’avevo fatto tempo fa con la mia nipotina di quattro anni. Raccontandole la storia del Gigante Amico. C’era una volta un paese felice ai piedi di una montagna, dove tutti vivevano contenti. Ma un brutto giorno arrivò in picchiata Joe Condor, mettendo tutto sottosopra. Gli abitanti non si persero d’animo e invocarono l’amico della montagna: Giganteee pensaci tuuuu!

Ancora, ancora, raccontala ancora. Alla decima volta, ho cominciato a fare variazioni sul tema. Il prato di grano prima della mietitura, con i papaveri che rosseggiano… La montagna scura, le rocce aguzze blablabla… E lei, perentoria: “Zia, non mi devi spiegare, mi devi raccontare”. Lo ha proprio scandito: rac-con-ta-re.

Colpita nel mio amor proprio, ho ricominciato senza spiegare. Trenta secondi di racconto. Per tutto il pomeriggio.

Adesso va a scuola, la nipote. Ma se dico “Joe Condor” lei risponde “Gigante, pensaci tu”. Anche se non lo ha  mai visto o ascoltato in tv, Joe Condor è uno dei suoi eroi. Come era il mio. E non ditemi che è questione di dna.

01 feb 2007

Bagattelle per un massacro

Matrimonio

Oggi, chiesa di Santa Chiara a Napoli, fiori d’arancio sull’altare. Omelia all’amore coniugale. L’amore è donazione, ma soprattutto, dice il frate francescano alla giovane coppia di sposi, “l’amore non è una bagattella”.

In 24 ore la parola “bagattella” ha camminato linguisticamente dall’accezione  manzoniana di cosa di nessun conto, bazzecola, all’ossimoro controverso del romanzo di Louis-Ferdinand Céline, fino al riferimento galante e spensierato del nuovo lessico berlusconiano. In 24 ore, la bagattella è saltata dalla polvere all’altare.

Dall’altra parte della barricata, La metà di niente di Catherine Dunne ha fortificato lo tsunami dei sentimenti di Veronica Lario. E in 24 ore il romanzo ha sbancato le librerie.

Ancora, in 24 ore: i giornalisti imbucano l’epistolario nella cassetta del reality e della soap (i format televisivi che più detestano), i filosofi profetizzano (Massimo Cacciari: “il loro matrimonio è finito”), la scrittrice Catherine Dunne intervistata a Fahrenheit su Rai RadioTre dichiara la sua simpatia per la moglie dell’ex premier.

Tutto ci si poteva aspettare da questo scontro di titani mediatici, fuorché la discesa in campo della letteratura. Grazie Veronica, grazie Silvio per un pugno di libri.

Ora, dopo l’omelia, scambiatevi il segno della pace.

21 gen 2007

Erba di casa mia

Gira in questi giorni il tormentone: “E’ meglio l’erba del vicino che i vicini di Erba”. E di rimando: “Non fate di ogni Erba un fascio”. A forza di erba di qua ed erba di là, mi è tornata in mente una canzone di quando ero ragazzina.

   Erba di casa mia,
   mangiavo in fretta e poi correvo via
   quanta emozione, un calcio ad un pallone
   tu che dicevi piano "amore mio ti amo"

Sono andata a controllare: era l’inverno 1972. Quando l’inverno si chiamava Canzonissima. Era un tormentone anche quell’erba che vinse la Hit Parade sbaragliando addirittura il piccolo grande amore di Baglioni. La cantava Massimo Ranieri, appena tornato dal servizio militare.

Massimo Ranieri

Presa dalla smania dei controlli incrociati, venerdì sera ho fatto due conti davanti alla tv, mentre guardavo proprio lui, Massimo Ranieri, che abbracciava per la prima volta la figlia Cristiana, frutto di una lontanissima notte d’amore. Dunque: Cristiana oggi ha 36 anni. 2007 meno 36 uguale 1971. L’erba è del 1972. Risultato: nel 1972 Cristiana aveva meno di un anno.

Concepita nell’erba di casa mia? Ascolto Ranieri che racconta: “ero un cantante molto famoso, ma anche un ragazzo inesperto. Mi trascinarono via da quella storia, mi dissero che la paternità era un danno alla mia immagine. Immagine: una parola che mi ha sempre fatto schifo”. E il pubblico in studio giù con gli applausi.

Ora Ranieri guarda in macchina: “Ma finalmente oggi ho capito che questo è il posto giusto per abbracciare mia figlia”. Oggi? La televisione? Il posto giusto? Sì. “Voglio che lo vedano tutti”. Perché? Perché “questa è casa mia”. La telecamera inquadra mamma, due sorelle, un cognato, una nipote mentre Ranieri fa il suo patto con gli italiani: “Cristiana, aiutami ad essere un buon padre per te”. Grande abbraccio commosso e altri applausi fragorosi.

Ma se c’era la Carrà al posto di Ranieri, se c’era una “lei” invece di un “lui” ad abbracciare, la commozione generale sarebbe stata la stessa?, si chiede, mi chiede, Marilena su CondiVisioni. Forse no, forse non così. Il riconoscimento differito della paternità è un clichè collaudato, soprattutto se lo nutri di napoletanità corriva (“i figli so’ figli” diceva mamma Ranieri, “fa parlà ’o core”, diceva papà Ranieri). Mentre lo stereotipo televisivo della maternità è cangiante, sfumato nei mille modi di essere madre, comprese le adozioni della Carrà (vedi diario 11 aprile 2006) e quelle di Cogoleto (vedi diario 29 settembre 2006). Il cuore di mamma non perdona le matrigne. E senza maternage non abbiamo scampo, finiamo a sgozzare il bambino della vicina di casa solo perché non possiamo avere un bambino tutto nostro (quante l’hanno pensato?).

Nello stesso tempo, è singolare che l’universo maschile cominci a declinarsi sulla casa, regno dell’immaginario e del simbolico femminile. Massimo Ranieri lo dice ben tre volte: “Questa è casa mia”. E indica la soluzione abitativa al maschile: una casa come schermo e uno schermo come casa.  Non male per un cantante e attore di successo. Più complicato per un altro padre alla ricerca di casa sul maxischermo di Porta a Porta. Criticatissimo, il padre di Raffaella Castagna, dopo la strage di Erba: ma come fa quell’uomo a stare davanti alla telecamere dopo che gli hanno ammazzato moglie figlia e nipote invece di starsene a casa col suo dolore?

Già, come se ce l’avesse ancora una casa vera, senza moglie, figlia e nipote. La sua casa è diventata tele-visione: ridisegnata in planimetria sui quotidiani, ricostruita come una scatola e poi scoperchiata come quella di Cogne, la respira tra le poltroncine bianche di Vespa e sullo sgabello di Cucuzza. E tutti a invitarlo, con l’arte maschile del ricevere: prego, faccia come se fosse (erba di) casa sua.

10 gen 2007

Voglia di televisione

davanti alla tv

“C’è chi nasce con la voglia di fragola e chi di cioccolato. Io c’avevo quella della televisione”.

Nasceva il 3 gennaio 1954, Carlo Ferrucci. Le doglie, a sua madre Elena, vennero per l’emozione quando la Signorina Buonasera sullo schermo tv del Bar Marotta pronunciò la frase fatidica: “La Rai Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”. Invece iniziò il fuori programma, la corsa in ospedale per partorire. La frittata era fatta, la tv aveva segnato per sempre il destino del nascituro.

E allora, cinquant’anni dopo: Raccontami (RaiUno, 13 puntate, sceneggiatura di Stefano Rulli, regia di Riccardo Donna e Fulvia Aristarco). La storia di Carlo, nato il primo giorno della televisione italiana.

Certo, con tutto il male che della tv si dice oggi, è una bella responsabilità essere venuto alla luce il 3 gennaio 1954. Però, siamo sinceri. Si tratta di un’eredità condivisa dall’intera generazione nata nella seconda metà degli anni Cinquanta. Siamo tutti nella stessa barca, anzi nella stessa scatola. Quella scatola che è entrata in famiglia insieme a noi, fisicamente insieme, allorché una schiera di padri ha pensato di festeggiare la nascita del figlio correndo ad acquistare il primo televisore della loro vita.

Abbiamo fatto ingresso nella domesticità insieme, bebé e televisore. Chi era il più fragile? Quale da maneggiare con più cura? Il neonato intruppato in volant di pizzo o il televisore sovrastato da un bel centrino all’uncinetto?

Diciamo che si cresceva insieme come fratelli, noi e la tv, senza farci del male. Condividendo regole e orari ferrei, da rispettare senza discutere. Gli anni scivolavano tra il tenente Sheridan, Carosello e il festival di Sanremo. Modugno apriva le braccia come un uccello, invitandoci a “Volare”. E Carlo Ferrucci si gettava dal secondo piano ritrovandosi sul camion del materassaio, soffice di lana appena cardata.

Non era pericoloso buttarsi di sotto, a quei tempi. Almeno fino all’arrivo della tv a colori che, guarda caso, corrispose all’arrivo della nostra maggior età.

“Ecco, sei già in televisione!”. A scuotermi bruscamente dal sogno di Raccontami è una fiction di Canale 5, Nati ieri (prodotta dalla Lux Vide). Prima scena della prima puntata. Sala parto. Il chirurgo estrae il corpicino appena nato e lo solleva. Il primo respiro, il primo vagito. L’emozione del padre che guarda il figlio venire al mondo: sul display tremolante della videocamera. “Ecco, sei già in televisione!”.

Noi si nasceva con la “voglia” di televisione, ora si nasce con l’imprinting della televisione. La telecamera è il primo oggetto in movimento che il nascituro vede. La prima impressione, il primo stampo, il simbolo materno, come dicono gli etologi? Non facciamo previsioni. Lasciamogli scrivere la sua fiction, un giorno. Al massimo, un bel titolo forte: “La mia vita in mille pixel”.

Ma chissà cosa diavolo sarà il pixel, tra cinquant’anni.