luisellabolla.it - Diario di una telescrivente

Il sito di Luisella Bolla (versione per la stampa)

Archivio > Diario > quarto trimestre 2007

Schermo, schermo delle mie trame...

DIC NOV OTT SET AGO LUG GIU MAG APR MAR FEB GEN
11 Dic 2007

“La logica della fiction ha della ragioni che la ragione storica non conosce”

Il capo dei capi

Con buona pace di Pascal, a parlare di serial tv si cade dalla padella di Schirò -Totò Riina alla brace di Virgilio e Shakespeare. Che lo dicevano chiaro e tondo: senza invenzione, non c’è dramma e non c’è verità. Lo spiega Maurizio Stefanini in un paginone de “Il Foglio” (1 dicembre). Ripercorro sui ritagli di giornale i fiumi di inchiostro spesi per Il capo dei capi, la serie in sei puntate appena conclusa su Canale 5. Più che la trama delle puntate, possono i sondaggi, le denunce, le richieste di censura. Derive narrative al limite dell’incredibile. Anelli di una catena dialogica che ripete e continua una storia già raccontata.

A cominciare dai veri Totò Riina e Bernardo Provenzano, incollati ad un monitor nelle rispettive carceri di Milano e di Novara. Non hanno perso, dicono i loro avvocati, una battuta del film della loro vita, se non per collegarsi in videoconferenza con l’interrogatorio del pentito Gaetano Grado che li accusa davanti alla Corte d’Assise di Palermo. Ma quale tra le due ricostruzioni -  televisiva e processuale -  sia stata per loro più avvincente, gli avvocati non dicono.

E’ però indicativo l’arresto di un altro mafioso palermitano davanti alla tv mentre sta guardando Il capo dei Capi. Situazione che, a sua volta, rimette in causa le parole dello scrittore e magistrato Giancarlo De Cataldo: “La fiction arriva là dove non può la legge”. In questo caso la legge arriva là dove la porta la fiction.

E ancora. Su fronti opposti sono scese in campo le mogli, a ribadire che le sceneggiature vanno sottoposte ai familiari: Ninetta Bagarella con azione legale contro la produzione e Mediaset accusati di aver infangato narrativamente la sua verità; la signora Giuliano polemizzando contro la riduzione a stereotipo della figura del marito Boris.

E poi ci sono i numeri. Per rispondere a ministri, storici, giudici, pedagogisti intervenuti pubblicamente contro il modello di eroe negativo che Il capo dei capi proporrebbe ai giovani affascinandoli pericolosamente, ha marciato a Corleone Daniele Liotti, interprete del poliziotto Schirò. Che nella tana del lupo ha contato quanti giovani si riconoscono in lui e quanti in Riina. Una sorta di controcanto al sondaggio che il Corriere della Sera ha proposto ad un campione di 13.000 italiani: è giusto bloccare la messa in onda della fiction sui boss della mafia? Il 72,80 per cento ha detto che no, non è giusto.

Quante storie dischiude una fiction. I giornali parlano addirittura di “banalità del male”, prendendo a prestito il titolo del libro di Hannah Arendt sul processo al gerarca nazista Adolf Eichmann. Per risalire la corrente delle riflessioni sulla natura umana, forse. Però dai miei ritagli sbuca una più prosaica intervista all’attore siciliano Claudio Gioè, che si è preparato a fare Riina studiando il boss nei video processuali e che dichiara: “Sono rimasto affascinato dalla sua arte di fingere, dalla sua bravura recitativa. Del resto i pentiti lo descrivevano come un tragediatore”.

Così ritorno a Pascal.

1 Dic 2007

Hotel Supramonte

Barbagia

Il mondo sta riaggiustando le sue mitologie. E il turismo riaggiusta i suoi itinerari. Sfrutta i simboli dei regimi caduti, trasforma in paesaggi suggestivi i luoghi già testimoni di stragi, omicidi, orrori del passato. Siti in cui scorazzare con un pacchetto weekend tutto compreso.

A Chicago trionfa Al Capone e il muro dove il giorno di san Valentino del 1929 furono massacrati i gangster della banda rivale. Sulle montagne bavaresi si brinda al Nido delle Aquile, che fu lo chalet del Fürer. E a Monaco spopola tra i visitatori l’Hitler tour. Filologicamente ineccepibile, con menu e arredamento rigorosamente a tema, il ristorante del KGB a Mosca, vicino alla Lubjanka. L’albergo Ostel di Berlino è preso d’assalto dai turisti perché ripropone l’atmosfera della Ddr. A Hanford, nello Stato di Washington un sentiero collega duemila chilometri di turismo nucleare: bevendo birra, si osserva la bomba atomica sganciata su Hiroshima. Anche dall’altro capo del mondo, ad Hanoi, bevendo birra si osservano i residuati bellici della guerra con gli Stati Uniti.

Rimozione del passato? Macabra curiosità? Lezioni di una storia che scorre veloce alle nostre spalle? Business intensivo e basta?

Anche a noi italiani tocca fare i conti con queste domande. In Sicilia, ad esempio, i tour mafiosi con bar “Il Padrino” e amaro alle erbe dedicato al boss si incrociano con le gite sulle terre confiscate ai clan dove si produce e si vende il vino delle cooperativa “Centopassi”.

L’ultima novità è però arrivata in questi giorni dalla Sardegna, dove presto si potranno intraprendere itinerari turistici in compagnia di Graziano Mesina. Sì proprio l’ex sequestratore di persona graziato nel 2004 dal presidente Ciampi dopo 40 anni di carcere. Mesina inaugura in questi giorni a Padova la sua agenzia turistica “Undici Mori” insieme ad un ex calciatore e un ex agente di polizia penitenziaria. L’ex bandito gentiluomo guiderà i turisti a Orgosolo e dintorni, lungo i sentieri più nascosti, gli scorci più incredibili della sua Sardegna. Vuol dare lavoro ai giovani del suo paese, ragazzi allo sbando – dice – che si dedicano alla pastorizia senza riuscire a tirar su un centesimo. E vai con magliette, berretti e gadget marchiati con il suo nome e la sua faccia spavalda. Graziano ha un orizzonte ampio e ha pensato anche alle prelibatezza gastronomiche della sua Sardegna, aprendo a Padova un negozio di prodotti tipici. Ricordando ai clienti che “anche ai rapiti, quando potevo, offrivo cibi di qualità”.

21 Nov 2007

Ciak turistici

Ciak

Un’agenzia di Milano lancia via internet “Moweekend”, invito a partecipare a un vero film per persone vere filmato da una vera troupe e un vero regista. “Rendersi conto di com’è la vita degli artisti, quali sono le tecniche di ripresa, l’atmosfera che si viene a creare, le tensioni, le vibrazioni di un set cinematografico e tutto quello che circonda il mondo dello spettacolo. Una troupe di professionisti ti aspetta per trasformarti in un attore - esaltando le tue potenzialità artistiche, regalandoti un’esperienza irripetibile - e farti tornare a casa con il tuo film da custodire fra i ricordi più cari”.

Il programma prevede un “tutto compreso” di tre giorni, dal venerdì alla domenica, con vitto, alloggio e diritto alla partecipazione alle riprese. Sveglia alle 6,30 per colazione, trucco e parrucco. Riprese dalle 8,00 alle 22,00. Il montaggio delle fiction inizierà il lunedì successivo e, tempo una settimana, il filmato in dvd sarà spedito a domicilio per posta prioritaria. Costo non specificato, bisogna telefonare ad un cellulare. Certa invece la data e il luogo: Moweekend prenderà il via nel marzo 2008 all’albergo Airone di Zafferana Etnea, “splendida location ai piedi dell’Etna già scelta da produzioni cinematografiche italiane ed estere e recentemente utilizzata da Franco Zeffirelli per Storia di una capinera”.

I quotidiani di questi giorni commentano ampiamente l’escursionismo sui luoghi dell’orrore, l’esistere ed esibirsi dei malati di voyerismo, il bullismo che si trasforma in fiction nei filmati al telefonino diffusi su Internet. Moweekend non è per loro. E’ piuttosto una soluzione incruenta per quegli spettatori che si sono scocciati di essere solo spettatori e che hanno già cavalcato tutti i set delle fiction, dalla Punta Secca di Montalbano al castello di Aglié di Elisa di Rivombrosa. Un’altra deriva del turismo post-televisivo.

 

10 Nov 2007

Bamboccioni e bamboline

Bambolina

Ha quattordici anni, questa bambolina con il seno che esplode sotto i bottoni del vestito beige. Ha appena pubblicato il suo primo romanzo, centinaia e centinaia di pagine che raccontano l’amore di una quattordicenne (come lei) per un sessantenne. Amore ricambiatissimo, ci mancherebbe. “Secondo me la vita è come un cerchio”, dice. E i 60 anni si ricongiungono amorevolmente e sessualmente ai 14. E poi non esistono più i gentiluomini: così le quattordicenni li vanno a cercare tra i sessantenni. Insomma, una volta gli scrittori scrivevano Lolita. Adesso sono le Lolite a scrivere, poi vanno su Internet, trovano da sé l’editore e addirittura il responsabile della collana a cui affidare il loro romanzo. Che in tre giorni dà l’ok alla stampa. Nel frattempo lasciano la scuola, perché le fa star male, perché detestano i banchi, i compagni, perché si annoiano. I genitori consenzienti arruolano gli insegnanti a domicilio e offrono il  soppalco della loro boutique glamour alla piccina, che può così dedicarsi alla scrittura ed esclamare trionfante, come una novella Proust, “sono arrivata a pagina 350!”

Ospite della Bignardi, c’è anche Paola Mastrocola, insegnante e autrice di successo, in panciotto e camicia maschile, chabot al collo, scarpe basse. Intellettuale molto torinese. Anche lei è qui per presentare il suo romanzo appena uscito. Un altro pianeta narrativo, biografia e dati anagrafici distanti anni luce, ma “è un genio” dice della quattordicenne, pur confessando che il libro non l’ha ancora letto. E confida in diretta che pure sua figlia non l’avrebbe mandata a scuola, se solo ne avesse avuto il coraggio.

Mi appiglio alla parola coraggio. Non c’è nessuno qui intorno che ha il coraggio di avanzare almeno il dubbio che questa ragazzina abbia un problema di socializzazione, nessuno che riconosca nel ritratto dei genitori il frutto di un’educazione ricca e viziata? Perché? Paura di non sembrare adeguati ai tempi?

Altro che bamboccioni. Una figlia così la manderei a correggere bozze per cinque anni. Nessuna autorizzazione alla pubblicazione, almeno fino alla maggiore età. Altro che “scrittrice”, come recita il sottopancia delle Invasioni.

06 Nov 2007

Occhio al mostro

“Ci sono tre verità: la verità dei fatti, quella giudiziaria e quella mediatica”. Si può diventare dei mostri e poi trasformarsi in santi. La terza verità. Le voci che uccidono, di Stefano Reali, racconta la storia di un errore giudiziario. Errore: ma fino a un certo punto. Il brillante neurochirurgo pediatrico Enzo De Caro è accusato dall’ambiziosa reporter di un giornale di provincia di essere un serial killer. Viene sbattuto in galera, sottoposto al brutale codice deontologico dei detenuti, ma poi scagionato grazie al ritrovamento di un impermeabile. Lo stesso impermeabile che permetterà alla reporter di dimostrare che il neurochirurgo è veramente l’assassino.

La terza verità

Sì, confessa alla fine De Caro, sono un assassino: ma fino a un certo punto. Ho ucciso malati terminali per aiutare i miei piccoli pazienti destinati a una fine prematura. Si è assassini se si uccide l’insalvabile per salvare altre vite umane? Il neurochirurgo torna in galera, ma non prima di aver operato un bambino in extremis e di aver passato il testimone al suo giovane assistente. Infermiere e malatini lo guardano desolati mentre si allontana in manette; la reporter medita di lasciare il giornalismo e arruolarsi nei carabinieri. Chissà se lo farà. Intanto, sui titoli di coda infila una domanda diretta: “Io cercherò di tenere gli occhi bene aperti. E voi?” Noi, cara reporter, confidiamo nei vecchi, sani princìpi di Blow-up. Basta una digitale per scovare verità sorprendenti.

30 0tt 2007

I maestri del colore

Alessio Boni

Ah, se la fiction fosse un quadro! Eccolo, il quadro. Un fotogramma di Guerra e Pace. Uno solo tra mille, tra battaglie, balli, eserciti a cavallo, scenari innevati. Tra tante domande, perché leggere i classici, perché guardarli in tv, perché rileggerli dopo averli guardati, tra polemiche sulla cultura visuale (“C’è più Tolstoj in ER o in NYPD che non nel Guerra e pace televisivo”, scrive Antonio Scurati su La Stampa), percentuali d’ascolto, interviste a Ettore Bernabei sulla missione pedagogica della tv, e nuova edizione del romanzo in libreria con la fascetta rossa in copertina: “Il capolavoro di Tolstoj, la fiction di Raiuno”.

Che almeno lui, il principe Andrei Bolkonskij, uomo d’armi e d’onore, riposi in pace. Le sue ultime parole: “Bisogna vivere. Bisogna amare. Bisogna credere”. Mi piace ricordarlo così, nell’ultimo fotogramma sul letto di morte. Splendido incrocio iconografico tra Che Guevara, il Cristo morto di Masaccio e il Caravaggio che presto vedremo in tv interpretato proprio da lui. Lui, naturalmente, è Alessio Boni.

23 0tt 2007

Quel che le donne si dicono

Un manifesto di cento metri per centoquaranta con il suo volto in bianco e nero su fondo blu. E una scritta: “La politica non è solo casta”. Daniela Santanché lancia i circoli D-donna (D come Daniela) tre metri sopra il cielo (di Milano, piazza Cinque Giornate), per niente preoccupata di entrare in rotta di collisione con i circoli della Libertà di Michela Vittoria Brambilla.

Lucrezia Lante della Rovere

Mentre a destra le donne si disputano il potere, sulla rive gauche si sparano bordate dal sapore barbarico. Marina Ripa di Meana chiama al duello Daria Bignardi, rea di aver teso domande trabocchetto a sua figlia Lucrezia Lante della Rovere, inducendola a dipingere la madre come una matta quasi sanguinaria. “La sfido a venire a Buona Domenica” ha detto Marina ospite da Paola Perego su Canale5: “Scelga lei le armi. Pesci in faccia, frustate o calci in culo”.

Inarrestabili, le signore bardate di reggicalze e tacchi a spillo usano soavi colpi bassi,  brillanti prepotenze, astuzie al vetriolo. Ma guai a spolverare gloriose battaglie di dame sull’Olimpo e sullo schermo, dietro le quinte o sul patibolo. Elisabetta d’Inghilterra contro Maria Stuarda, Bette Davis contro Anne Baxter, Tebaldi contro Callas, Loren contro Lollo. Eva contro Eva oggi suona maschilista, ti ritrovi nel fuoco incrociato e finisce che ti becchi pure una decolletè in testa. Mentre gli uomini stanno a guardare...

16 0tt 2007

Il posto in gioco

Vittoria Puccini

E’ un déjà-vu, ho pensato leggendo in programmazione su Raiuno La Baronessa di Carini. Il titolo però l’hanno mozzato. Trent’anni fa (1975, per la precisione) l’originale televisivo suonava: L’amaro caso della Baronessa di Carini. Scritto da Lucio Mandarà, regia di Daniele D’Anza, con gli occhi chiarissimi (ancora in bianco e nero) di Ugo Pagliai, il ghigno a denti stretti di Paolo Stoppa e il vocione di Gigi Proietti che sui titoli di coda cantava una funerea ballata popolare siciliana. Ricordi intrecciati al Segno del comando (1971), sempre Ugo Pagliai e il “Din-don amore” di Nico dei Gabbiani. Erano gli anni delle manie parapsicologiche, delle vittorie milionarie di Massimo Inardi al Rischiatutto di Mike Bongiorno. Il mistery si tagliava con il coltello.

Leggo oggi sui giornali che il produttore della Baronessa di Carini è il figlio del produttore dell’Amaro caso della Baronessa di Carini. Dunque ha ereditato di nome e di fatto (compresi i diritti d’autore?) lo sceneggiato del padre. Poi vedo sullo schermo che anche la Baronessa di Carini non è una faccia nuova. Caspita, è Elisa di Rivombrosa! Ma Elisa non era morta l’anno scorso? Sì, però prima di morire la contessa ha fatto giurare a sceneggiatori e regista che si sarebbero presi cura della sua povera figlioletta. Nepotismo obblige, hanno promesso loro. Tra quindici giorni su Canale 5 appuntamento con la prima puntata della terza serie della saga. Titolo fulminante: La figlia di Elisa. Ritorno a Rivombrosa.

7 0tt 2007

Telepreghiere

Telecomando-Rosario

Se la televisione è lo specchio di chi la guarda (lo dicono i critici),  il televisore è l’alter ego di chi lo acquista. Parlo dell’apparecchio tv e penso al 17 pollici integrato nella cappa da cucina Multimedia della Siemens;  al 15 pollici incastonato nel forno della Whirlpool; al  tele-frigorifero che ho visto in vendita a 2500 euro nell’ipermercato di Caserta. Provo soltanto a immaginare il 42 pollici a cristalli liquidi nella Jacuzzi biposto; il 40 pollici Diamonds tempestato di diamanti per un totale di 20 carati; il 71 pollici tutto d’oro prodotto dall’italiana Keymat in mille esemplari numerati.

Se la tv è lo specchio di chi la guarda e il tv l’alter ego di chi lo acquista, il telecomando è l’anima di chi lo compulsa. Esempio: il coloratissimo rosario interattivo in vendita su www.plusminus.ru che il designer russo Dima Komissarov immagina tra le mani dei più devoti e ortodossi telespettatori. A ogni pallina corrisponde un canale televisivo diverso: una leggera pressione e si accende la lucetta, parte il motivetto musicale, si cambia programma. RaiUno, Canale5, La7 sgranati come AveMaria, Pater Noster, Gloria... all’infinito.

Rosario digitale

Non c’è più religione? Aspettiamo a dirlo. Sul labile confine tra sacro e profano arriva in questi giorni un altro rosario: il rosario digitale “Prex”, pubblicizzato dal quotidiano “Avvenire”. Un oggettino nato all’ombra del santuario di Loreto e acquistabile online su www.holyart.it, con libretto di istruzioni e garanzia. Guarda un po’ che combinazione: i sette pulsantini evocano un telecomando. Basta selezionare il giorno della settimana e una voce femminile, accompagnata da un coro, accende la preghiera. Presto sarà in commercio il modello con cuffiette, discreto e silenzioso, per una spiritualità al passo con i tempi.