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Schermo, schermo delle mie trame...

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23 Dic 2008

Il terzo uomo

Mi manda Rai3

 “E’ tirchio come un ragno!”, grida Maria Luisa in primissimo piano sul maxischermo di Mi manda Raitre. Arrabbiatissima. E ancora: “Lei è una truffatrice!”, rivolta a una signora in studio che le risponde per la rime. Stasera si parla di quei cenacoli che stabiliscono contatti tra uomini e donne disegnando profili di compatibilità secondo il carattere, l’ambiente sociale e il portafoglio di entrambi. L’obiettivo è che tutti possano trovare la propria anima gemella per soli 2500 euro, sborsati alla firma del contratto biennale. A volte qualcosa va storto. Nei “casi” televisivi di Vianello tutto è andato storto. Il conduttore ci mette bonomia, per rispetto forse alle vicende ben più dolorose che seguono in scaletta, o forse perché nel senso comune le storie “AAA. Cercasi marito” sono comunque lievi, mescolando stravaganza e “in fondo te la sei andata a cercare”. Ma tira aria di truffa e l’atmosfera si surriscalda.

Seduto tra gli ospiti, l’amministratore delegato dell’Agenzia di incontri è piacente e aggressivo quanto basta per raccogliere l’attenzione. Difende il suo lavoro contro le signore, ancora sole, che denunciano la sòla. Primo caso: in 18 mesi solo 3 incontri, tutti deludenti. Secondo caso: alla quarantatreenne è stato proposto un ottantenne. Terzo caso: la presunta anima gemella “ha troppa scarsa cultura”. Squilla il telefono: è una spettatrice che vuole dire la sua. Racconta di essersi rivolta all’Agenzia di cui sopra e di aver incontrato un uomo gentile, accattivante, una bella persona. Prendono un caffé, escono la sera. Stringi stringi, “mi spiace” dice lui ad un certo punto, “io sono solo un uomo jolly”. Dice proprio così: uomo jolly, uno specchietto per le allodole. Passa del tempo, e la spettatrice delusa viene a conoscenza dei siti internet, e sul web intesse un’altra amicizia con un uomo che le piace. Decide di scambiare il numero di cellulare. Il giorno dopo riceve sul cellulare una telefonata dall’Agenzia – sempre quella di cui sopra! – in cui le si chiede se vuole partecipare a incontri di gruppo per single. Scopre così che l’uomo jolly e l’uomo della telefonata sono la stessa persona, e quella persona adesso è nello studio di Mi manda Raitre. E’ lui, quello dell’Agenzia! Colpo di scena. E’ una barzelletta mediatica, come asserisce l’amministratore dell’Agenzia o un caso di spionaggio industriale, come ipotizza Vianello il sornione?

20 Dic 2008

Ritorna vincitor

Quintavalle

Il TgUno ha lanciato un sondaggio tra i telespettatori per votare il miglior atleta maschile e femminile dell’anno. Hanno vinto il celeberrimo Alessandro Del Piero e Giulia Quintavalle, medaglia d’oro di Judo nonché finanziera delle Fiamme Gialle. Pochissima presenza televisiva, escluso qualche minuto di sensualità alla serata inaugurale di Miss Italia, quando si è tolta il pigiama bianco da tatami ed è rimasta candidamente in sottoveste sotto gli occhi sbalorditi di Taricone. Niente a confronto della libidine dei giornalisti che si sono spartiti per tutto l’autunno le altre vincitrici di Pechino: Federica Pellegrini negli spot e nelle sfilate, Valentina Vezzali e Margherita Grambassi nei talk show. Molto più spavalde, le seconde, della collega atleta Quintavalle. Così spavalde da mettere in imbarazzo Polizia, Carabinieri e presidente del Consiglio, e tanto seriose nel passaggio dalla scherma allo schermo da schierarsi senza esitazioni con talk show di “destra” e talk show di “sinistra”.

Ma il pubblico televisivo ha votato per Giulia Quintavalle. Ci si aspetterebbe un commento su questa forbice tra visibilità e premio popolare. Invece, dopo i risultati del sondaggio il TgUno manda in onda una lunga intervista al solo Del Piero, raccogliendo le confidenze del calciatore sulle gioie della paternità, sulla carriera di attore in pubblicità, chiedendogli di inviare un messaggio a Lippi e di fare una previsione sui Mondiali del 2010. Il giorno dopo va in onda una intervistina di pochi minuti alla Quintavalle. O meglio, una telecamera la riprende nel tourbillon della Roma pre-natalizia mentre a piazza di Spagna compra le caldarroste, riceve le rose dal bengalese, carezza il cavallo della botticella e posa con l’immancabile centurione. Le quattro versioni del perfetto turista. L’ultima corvée prima di scomparire dalla tv e ritornare a far quello che le piace. Con ironica semplicità.

28 Nov 2008

Il pelo nell'uovo

Rita Levi Montalcini

“Se vuoi rimanere giovane devi continuare a cercare” diceva Pablo Picasso. E lei, nata un secolo fa con Les demoiselles d’Avignon, sta ancora cercando. In realtà qualcosa l’aveva già trovato durante la penuria della guerra nelle uova che prima di finire nel tegame passavano per la sua cameretta riconvertita in laboratorio scientifico, dove con l’ago da cucito usato come un bisturi ne studiava l’embrione. E’ nell’uovo di una gallina che Rita Levi Montalcini ha scoperto il fattore di crescita delle cellule nervose, è così che la sua frittata ha vinto il Nobel.

Fabio Fazio la guarda reverente, la chiama professoressa. E’ venuta a Che tempo che fa per presentare La clessidra della vita, autobiografia dal titolo perfetto per la fiction che forse un giorno si farà. Un bel medaglione, come quello già dedicato a Maria Montessori. Intanto Rita Levi Montalcini continua a rimanere giovane scorazzando dall’austrolopiteco all’internet quantico: “Studio più adesso di quando ero giovane: il cervello senile può avere molte possibilità”. Lo dice come se stesse ancora sbattendo le uova. Tra le tante parole possibili, Fazio sceglie “amore” per definire lo spirito che l’ha guidata nella ricerca. No, risponde lei: “è la curiosità che mi ha spinto, non l’amore”. Curiosità e impegno nel sociale, perché “la scienza serve non solo a far scoperte. Serve ad aiutare coloro che non hanno possibilità”. Lo dice senza retorica, e ribadisce la preoccupazione per il mancato sostegno finanziario alla ricerca scientifica, la necessità della valutazione secondo merito e non per appartenenza a gruppi di potere, il suo appoggio totale a quella “eccellente iniziativa” che è il testamento biologico. Mica ha finito: “Per me la morte non conta niente. Quel che conta è che i nostri messaggi siano raccolti da chi rimane”.

Cercando di interpretare il côté gentile del suo pubblico, Fazio rammenta che alle scorse elezioni la quasi centenaria Montalcini ha dovuto aspettare venti minuti per accedere al seggio e votare: nessuno le ha ceduto il posto. E lei, con vivace determinazione: “Perché mai avrei dovuto avere la precedenza? Non sono come gli altri?”. No, il buonismo stasera non attacca, il senso comune ancor meno.

La prossima volta che in tram apparirà una nuvola bianca di capelli e una faccia da nonnina buona, non ci stupiremo se declinerà l’invito a sedersi reggendosi saldamente al corrimano. Con un sorriso potrebbe risponderci: “Se vuoi rimanere giovane devi continuare a cercare: in piedi”.

20 Nov 2008

Non far finta di essere sani

Vaso

C’erano una volta i magnifici vasi di ceramica bianca e azzurra disposti sugli scaffali delle antiche farmacie. Vasi che si consultavano come il calendario, in cui la cura del corpo evocava l’armonia delle Stagioni di Vivaldi. Primavera, estate, autunno, inverno. Adesso che le stagioni non sono più quelle di una volta, il vaso di ceramica è stato soppiantato dal vetro del televisore. Vaso di Pandora, a guardare le pubblicità dei prodotti medicinali e para-farmaceutici. In questo genere di spot la natura è matrigna, cattivissima. La pioggia non porta benefici, sempre associata a starnuti, raffreddori, bronchiti. Il prato è un letto di Procuste, non si può correre felici dietro il figlio e il cane per colpa di lombaggini e mal di schiena. La torta di noci preparata con mani casalinghe è una fonte di ansia perché fa traballare la dentiera. E chi beve volentieri una tazza di tè con l’amica se ha la pancia gonfia e disastrata dalla stitichezza? Fegato, ossa, gambe, cuore, intestino, denti: il corpo passaguai è vittima dell’iper e dell’ipo, da tenere sotto controllo e riportare a normalità (quale normalità?), sempre alla ricerca del benessere negli interstizi del consumo. E il consumo invita il corpo alla guerra. Lo invita a combattere contro il tempo, lo stress, il lavoro, la famiglia, le vacanze, perché tutto ciò che facciamo ha effetti devastanti. Sono tempi duri, bisogna difendersi con armi adeguate, ci dicono gli spot. Non fidate delle difese immunitarie, e se già funzionano, regolarizzatele e potenziatele. Con che cosa? Streptococchi, fermenti, omega e antiossidanti. Alla fragola, ciliegia, ananas, vaniglia. Confondete la natura usando i suoi colori; l’aggiunta di zuccheri, aspartame e lentiggini di una star li rendono più buoni e gradevoli della natura stessa. Ingurgitateli direttamente dal simpatico vasetto, regno magico dei supereroi comandati dal generale Bifidus Actiregularis che difendono l’organismo dai batteri. Pure invenzioni del marketing, dove la linea di confine tra le parole e i fucili d’assalto, tra le bevande probiotiche e la chimica è sempre più sfumata. Del resto, i prodotti per la salute del corpo parlano come i prodotti per l’igiene della casa: la guerra è guerra, senza distinzioni. Siate cavalieri senza macchia. Pulite il vostro organismo come disinfettate i vostri pavimenti e i vostri maglioni.

Al primo starnuto, lo spray libererà il naso per 6-8 ore e tutta la città dormirà sogni tranquilli. Tra poco arriva Natale, attenzione al colesterolo che sale. Ma non dimenticate i bambini. Il loro primo giorno di scuola è stato turbato dall’arrivo del Pediculus Capitis. “Ci risiamo, anche quest’anno i pidocchi”. Fortunatamente stavolta c’era la Gelmini: li ha storditi facendo mettere le mani nei capelli a mezza Italia, mentre il ministro Brunetta, sparando nel mucchio selvaggio, ha sbaragliato i parassiti della testa. Però, mamme, non cantate troppo presto vittoria: vostro figlio deve studiare matematica. Se non rinforzate le sue difese naturali con il Lactobacillus Immunitas, non ce la farà mai a sconfiggere le tabelline. E pazienza per il latino.  

10 Nov 2008

Caravaggio's Second Life

Narciso

“Chiamare Spadarino il Caravaggio è come chiamare Vespa Costanzo”. Se gli avessero lasciato passare lo spadone nel metal detector della Rai, lo studio di Porta a Porta si sarebbe trasformato nello stadio della Pallacorda, e Michelangelo Merisi invece di trafiggere a morte Ranuccio Tomassoni questa volta avrebbe infilzato il critico d’arte di turno. “Però potrei strozzarlo con le mani”, pensa il Merisi. Il ministro che lo ha portato fin qui dalla Galleria Barberini con la scorta dei carabinieri lo avverte: “Di delitti Bruno Vespa ne ha fin sopra i capelli, con il processo di Olindo e Rosa alle porte. Questa è l’occasione per rifarti una vita, caro Michelangelo, non perderla e non mi far fare brutte figure”. Già, questa è la Second Life di Caravaggio. Una serata in televisione a parlar di narcisismo e capolavori da affittare, con derive nei soliti Berlusconi, Casini, Di Pietro, Veltroni che campeggiano in foto sul maxischermo sotto la scritta “Siamo tutti narcisisti? Da Caravaggio ai politici”. Ma è solo una scusa. In collegamento dal Duomo di Parma, sotto la cupola del Correggio fresca di restauro, c’è il critico d’arte che ribatte: “Il mio non è narcisismo: è Vittorismo”.

Sgarbi

Si è sistemato in primo piano con la cupola sullo sfondo, come nel gioco illusionistico che seduce i turisti in visita alla Chiesa del Gesù a Roma, dove un enorme specchio inclinato riflette la volta e li risucchia nell’affresco, a rimirarsi come il bel giovane narrato da Ovidio. Meraviglie barocche, ma ahimé, l’acqua si intorbida. “Mi spiace Bruno, quel Narciso non è di Caravaggio, ma di un suo seguace romano, Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino. Però è bello lo stesso”. Il gioco è rovinato, Vespa caccia gli occhi dentro il quadro a cercare la firma, il ministro caccia gli occhi sornioni sulle gambe dell’ospite. Il sovrintendente ribatte, il campanello annuncia l’arrivo della sosia di Marlene Dietrich e il discorso non si sa come scivola su Pompei e su D’Annunzio. “Di D’Annunzio so tante cose. So anche che era malato di priapismo”, dice l’ospite con le gambe in vista. E’ il momento giusto. Nessuno lo guarda, Michelangelo Merisi salta i tornelli della Rai e si dilegua. Arrangiatevi con lo Spadarino. Beccatevi l’avatar. Io vado a spasso per Roma.

E invece povero lui, non ha capito un bel niente. Dove c’era lo stadio della Pallacorda adesso c’è un garage unto di olio e gas di scarico. Dove beveva vino rosso a fiumi oggi si mangia il sushi. Che il ministro avesse ragione? Non sia mai detto. Si chiude una Porta, si apre un Portale: www.brunovespa.net. Il generoso titolare gli ha riservato il posto d’onore accanto a sé: “I pittori che mi emozionano di più sono Caravaggio e Mantegna, perché riescono a raccontare le cose che raccontano tutti in maniera diversa. Caravaggio racconta la notizia: con la luce e la disposizione dei corpi ti conduce verso la notizia. Mantegna fa un Cristo morto che è totalmente diverso da quello tradizionale che gli avevano commissionato. Come un articolo: è meglio farlo pulitino o con un taglio trasgressivo in cui finalmente dici quello che pensi?”

02 Nov 2008

Décolleté al gorgonzola

Tacco barbarico - Katia

Venerdì sera. I barbari stanno arrivando e io non ho niente da mettermi. Eh no, stavolta non mi fregano. Vado dritta alla scarpiera, le tiro fuori, bellissime. Nere, di vernice, con il plateau sagomato arrivano a 18 centimetri. Un vero piedistallo. Le ho comprate per essere alla loro altezza, da casa, il venerdì sera.

Eccole. La sovrana in tubino catodico e la sua ospite si fronteggiano. Il campo di battaglia è sotto il tavolo: gambe accavallate / gambe accavallate; nero / nero; tacco 12 / tacco 12; décolleté / sandalo con fibbia di strass. Arriva l’eco delle voci. Primo piano sulle pieghe della caviglia. Tacco, attacco e stacco.  

Pausa pubblicitaria: “Oggi mi sento una bella topolona”. Che strana casualità.

E’ arrivato lo scrittore di montagna. Pittoresco, evoca grappa e formaggi di alpeggio. Vola in alto con la sovrana, dalle stalle alle stelle, e in primo piano gli scarponi da scalata.

Tacco barbarico - Concita

Pausa pubblicitaria: “Oggi mi sento…” Ma sarà una casualità?

E’ arrivata l’attrice. Spiritosa, con le ballerine rasoterra. La sovrana le chiede di fare la vocina dei pupazzi doppiati e lei dice no. I pupazzi non te li faccio. La sovrana mastica una parola tra i denti. L’attrice: “Mi hai detto stronza!”. Se non le fa i pupazzi, sì che è stronza. “Dobbiamo litigare? Sono venuta qui per litigare?”. Alla fine l’attrice fa i pupazzi e la sovrana le dà un bacino.

Pausa pubblicitaria: “Oggi mi sento…” No, non è una casualità.

Taccata e fuga verso la scarpiera. Pantofole, babbucce.

   Perché è già notte e i barbari non vengono.
   E’ arrivato qualcuno dai confini
   a dire che di barbari non ce ne sono più.
   Come faremo adesso senza i barbari?
   Dopotutto, quella gente era una soluzione.

Sogni d’oro con Kavafis, bei topoloni.

29 Ott 2008

Un grande romanzo

Angela

Angela nasce in un piccolo paese della Calabria da una famiglia molto povera. Comincia a lavorare nei campi all’età di quattro anni. A diciassette fugge di casa con la speranza di cambiare il suo destino, si stabilisce in un altro paese non molto distante e lavora come cameriera. Si innamora, ma il suo fidanzato è affiliato alla ‘ndrangheta, e Angela suo malgrado viene scelta e posseduta da un boss locale. Ha 24 anni. Fugge ancora, e incontra Sebastiano: va a convivere e dall’amore nascono tre figli. La serenità però dura poco. Anche Sebastiano si lega alla ‘ndrangheta, e come non bastasse Angela scopre che lui, padre dei suoi figli, ha un’altra donna ed altri tre figli. Rimasta sola con i tre bambini, e con tanta paura per il futuro di Santo che subisce l’influenza del padre, decide di mandarlo a studiare in un collegio di Assisi. Ma quando Santo torna a casa col diploma di ragioniere entra nel giro, diventa “uno di loro”. Angela fa di tutto per staccarlo dai nuovi amici. Lo pedina, e scopre che è diventato l’amante della moglie di un boss della ‘ndrangheta. Angela sa che è una condanna a morte, ma cerca con tutte le sue forze di strappare il figlio a una brutta fine. Telefona alla moglie del boss, la incontra più volte, si fa promettere che lascerà in pace Santo, ma la relazione continua anche quando il boss esce dal carcere e torna in paese. Va avanti fino al 10 luglio 2002. Quel giorno Santo non torna a casa. Che fine ha fatto? Lo scopriremo domani.

Alda D'Eusanio

Angela continua a raccontarsi, il pomeriggio dopo, seduta di fronte ad Alda d’Eusanio, nello studio color dell’alba di Ricomincio da qui (RaiDue, dalle 16,15). Sgrana appunti minuziosi di paesaggi, di personaggi, di situazioni. Non tralascia alcun dettaglio. Zoom di parole sugli alberi, il canneto, le case, i bar, le stradine del paese, le porte, le automobili, dettaglia persino le pasticche dei freni e la guantiera di dolci. Inserisce i dialoghi, il tempo al presente, come un’azione che sta compiendosi in quel momento, e i personaggi secondari: sua figlia Mara, il fratello del boss, i colleghi dell’officina, gli amici di Santo. Per scoprire che fine ha fatto suo figlio, Angela affitta auto sempre diverse, si traveste con parrucche, occhiali e segue passo passo gli amici di Santo. Indaga giorno e notte. Per 47 mesi: quattro anni di ricerche. Chiama anche la troupe di Chi l’ha visto? e davanti alle telecamere lancia un appello: “Fatemi trovare almeno un piccolo frammento di mio figlio!”. Ma nessuno parla, nulla accade e lei fa ancora a modo suo. Inchioda uno degli amici di Santo e lo convince a collaborare con la giustizia.

E’ il momento tanto atteso e tanto più terribile. Angela ricostruisce la morte del figlio: l’amico gli spara, la pistola si inceppa al secondo colpo, Santo viene caricato nel bagagliaio ancora vivo e urlante, un altro amico spara ancora e lo uccide. Gli spezzano le gambe per infilarlo per bene nel bagagliaio e poi lo seppelliscono nel canneto. Del suo corpo, dopo quattro anni, viene ritrovata solo la clavicola, che resta a disposizione della magistratura.

Angela ha finito. Alda d’Eusanio ha gli occhi sbarrati. La telecamera aspetta. E’ durato quasi due ore il racconto, tra ieri e oggi, un racconto svolto quasi tutto sul primo piano di Angela. Ora tocca agli ospiti in studio: il pubblico ministero della direzione antimafia di Catanzaro; un neurologo e un sacerdote della Caritas snocciolano le Regole per ricominciare da qui. Deve smettere di andare ogni notte là dove hanno trovato la clavicola di Santo. Deve pensare all’altra figlia che ha bisogno di lei. Deve avvicinarsi alle associazioni antiracket. E continuare a raccontare la sua storia. Che “è veramente un grande romanzo”, dice la D’Eusanio, una vita-racconto che potrebbe diventare un film, una fiction, un serial. Del resto, sostiene Giuseppe Feyles in La televisione secondo Aristotele, esiste una storia, se non è sceneggiabile?

11 Ott 2008

Waterworld

Passaggio del Mar Rosso

Le calotte polari si sono sciolte, le terre sono scomparse, ricoperte dall’acqua. Viviamo nel mondo liquido, siamo metà pesci e metà umani in fuga con Kevin Costner verso Dryland, verso la terra asciutta. Corriamo, perché la vita nella società liquida non può mai fermarsi. Zygmunt Bauman, massimo sociologo della post-modernità, lo spiega in una affascinante saga sull’evaporazione, cominciata qualche anno fa con Modernità liquida e proseguita con L’amore liquido, Vita liquida e con il recente Paura liquida. Mica ha finito. Anzi, ha appena iniziato la rubrica quindicinale “Lettere dal mondo liquido” su  “D. la Repubblica delle Donne”, con la firma “Il vostro Z.B.”. Ci dice, in maniera colta e suggestiva, che nella vita precaria ed incerta dei nostri giorni non impariamo più nulla dalle nostre esperienze, perché le condizioni entro le quali esse accadono cambiano continuamente. Ci dice che il flusso di informazioni è tale da farci rischiare di affogare. Ci dice che servirebbe una trebbiatrice, solida, terragna, per aiutarci a separare i grani di verità dalla pula di menzogne, illusioni, rifiuti contemporanei. E infatti le sue “Lettere dal mondo liquido” hanno l’obiettivo di separare ciò che conta da ciò che è inutile, ciò che è importante dai fuochi di paglia. Con l’aiuto delle lettrici, naturalmente, invitate a scovarlo tra duecento pagine di seducente e sfrenato consumismo pubblicitario.

Anche Walter Veltroni si rivolge alle lettrici:  quelle di “A. Anna”, settimanale di Moda Bon chic/Bon Genre diretta da Maria Latella. Segnalate una foto, quella che più vi ha colpito, e sarà pubblicata con il commento di Veltroni in una apposita rubrica: poche, secche righe corpo 18. Tra le foto scelte, qualche settimana fa, quella di un orso bianco che nuota tra le onde. Commento: “Sembra un bambino che non sa nuotare. E’ travolto dalle macerie di quella che una volta era la sua casa. Macerie fatte di acqua. Dove prima c’era il ghiaccio”. E’ colpa - prosegue Veltroni - del clima che cambia, dei paesi che ignorano leggi e divieti, del “mondo sciagurato ed egoista che avanza verso il Titanic del Duemila. Infatti la nostra società rischia di sbattere contro il ghiacciaio che non c’è più. E di fare la fine del povero orso”. E infatti nelle settimane successive Veltroni nuota con l’orso a Wall Street. Sempre in poche, secche righe corpo 18, collocate - anche qui -  tra centinaia di abbaglianti pagine pubblicitarie.

Così va il mondo, un mare di panico e di lusso. I seguaci di Noé, ovvero gli psicologi e i dietologi dei talk show, consigliano di non perdersi in un bicchier d’acqua. Gli emuli di Mosé, leader politici ed esimi pensatori, provano a dividere le acque. Che meraviglia, ne escono asciutti e patinati.

06 Ott 2008

“Dio ci parla. Non lasciamolo solo”

La bibbia

Habemus format. Inimitabile, intoccabile, indeclinabile. Dalla Genesi all’Apocalisse, ottocentomila parole da leggere in diretta televisiva non stop per 139 ore, senza interruzioni, commenti, pubblicità. Divinamente perfetto, o diabolicamente divino? E’ cominciato ieri alle 19 su RaiUno e proseguirà per sei giorni e sette notti su RaiEducational2 e sul sito www.labibbiagiornoenotte.rai.it. E’ un format da Red Bull - la bevanda che mette le ali - il testo della Bibbia letto integralmente da un parterre di ministri di dio e del parlamento, artisti e ambasciatori, vip e vicini di pianerottolo. Tra i 1200 lettori volontari che si alternano sull’ambone ogni quattro-otto minuti, ventiquattro ore su ventiquattro, ci addormenteremo con Giulio Andreotti, Gianni Alemanno, Beppe Fiorello, Gad Lerner, Gigi Marzullo, Mara Carfagna, Nicola Zingaretti, Enrica Bonaccorti. O faremo l’alba con Cossiga, la Vezzali, la Cucinotta, Vittorio Sgarbi, la signora Franca Ciampi e l’allenatore della Lazio. Il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone chiuderà la staffetta sabato prossimo alle 12,30 su RaiUno.

Tra le ghiotte reliquie della basilica di Santa Croce in Gerusalemme troneggia, al posto della vetusta pala d’altare, un maxischermo con cieli e tramonti al plasma. Aprono la staffetta il Papa (in video registrato) e il Pap’occhio. Ovvero Ratzinger e Roberto Benigni. Rewind: chi ricorda il Wojtilaccio di Benigni al Festival di Sanremo 1980, denunciato per oltraggio, e il film di Arbore dello stesso anno, quando Benigni si affaccia dalla finestra di piazza San Pietro e viene scambiato per il Papa? Dal cielo del Pap’occhio scendeva il Deus ex machina (Luciano De Crescenzo) e si portava tutti in Paradiso su una Panda. Il film fu sequestrato per vilipendio alla Religione Cattolica e alla persona di Sua Santità. Ma erano cose de l’Altra domenica, roba da Teche Rai, memorabilia della tv. Le scene con i monologhi di Benigni sul Cristianesimo sono state soppresse nella versione restaurata del film e il sosia interprete di Wojtyla morì di tumore a riprese appena ultimate (punizione divina?). Oggi il Vaticano venera Benigni perché – parola di Ratzinger – “legge Dante meglio di un teologo”. E quando Benigni entra in scena a Santa Croce scroscia l’applauso. Le telecamere inquadrano i primi piani della gente comune, commossa durante la lettura del Pontefice ed euforica per l’inedito Caino letto dall’attore. “Che cosa ha provato?” chiede un giornalista a lettura terminata, manco fossimo a La vita in diretta. E Benigni, di rimando: “Una forte emozione”.

E’ lo Spirito del tempo, bellezza. Anche lui si arrampica sugli specchi. In prima pagina il Corriere della Sera titola: “Il Papa e Napolitano: collaboriamo. La fede ha un valore pubblico”. Tuoni e fulmini, veri, si sono scatenati sul torrino del Quirinale dove fino a poco prima sventolavano insieme la bandiera italiana e vaticana. Poi è tornato il sereno variabile. I pullman panoramici a due piani di “Roma Cristiana” hanno cominciato a scaricare sul sagrato della Basilica di Santa Croce un pubblico di spettatori che non vede l’ora di immergersi nel “mare di Dio”. Sarà così per tutta la prossima settimana. Dio parla dal maxischermo. “Non lasciamolo solo”, raccomanda lo speaker.

06 Ago 2008

Se…no, censura!

Agosto, come mi riconosco. Da qualche giorno ho perso l'orientamento. Accendo la tv, guardo i telegiornali spiluccando la frutta, e non appena compare la sala stampa di palazzo Chigi mi precipito con il naso dentro lo schermo. Scruto il fondale. Invece di ascoltare che cosa dicono i ministri sulle grandi manovre del Governo, cerco la Verità alle loro spalle. Parlo della Verità svelata dal Tempo, il dipinto di Giambattista Tiepolo scelto da Silvio Berlusconi per la sala delle conferenze stampa. E’ velata o svelata? La verità Si vede o non si vede? Mannaggia, me lo sono persa anche stavolta, lo zoom sul capezzolo. Tra nuvolette e azzurro infinito, pare che il seno sia stato coperto da una pennellata. L'improvviso oscuramento è imputato allo staff che cura l'immagine del premier. Reazione altrettanto immediata da parte di critici, storici d'arte, sovrintendenti, persino del professor Paolucci già ministro dei Beni Culturali e oggi direttore dei Musei Vaticani. Orrore! E tutti a evocare Daniele da Volterra e i braghettoni al Giudizio di Michelangelo.

Cerco ancora, ora sullo schermo ci sono le quattro ministre ai lati del premier che palpitano nel candido top, nella camicetta di lucidissimo argento, nel morigerato tailleurino grigio topo. E loro, che cosa pensano? Si guardano le spalle? Perché non invocano i libri di fiabe dove la Verità non è una donna a petto scoperto, ma un re nudo, smascherato e ridicolissimo?

Chissà, forse pensano al costume da bagno che devono ancora comprare, con le coppe imbottite, il ferretto, i laccetti, intero, olimpionico. Addio topless, quest'anno. Tra qualche giorno tutti al mare, e la Verità al buio sottochiave. Almeno per Ferragosto. Quando palazzo Chigi riaprirà, di sicuro la faccenda sarà risolta. Un grembiule e un bel fiocco al collo della Verità. Così anch'io la smetterò di distrarmi e ascolterò i ministri. Se... no, 7 in condotta.

31 Lug 2008

Pronto, Franca?

Franca Valeri

E’ sempre occupato. Starà lì, attaccata alla cornetta, con i becchi d’oca, la pettinatura alla Cape Canaveral, la vestaglia di acrilico. In preda all’ansia per il marito che non è ancora tornato: “Madonna der Divino, me tocca de chiamà l’obitorio! Quello mammà l’ha sempre chiamato, l’obitorio, quanno che papà tardava, tanto affezionata… Pronto obitorio? Sor Mario, è lei? Sor Mario, so’ la fija de la sora Augusta, quella maritata Cecioni… Che c’è niente pe’ noi?”.

Pronto ora esatta, pronto medico della mutua, pronto Romana gas, pronto 110, e le signorine al centralino la mandano a quel paese. La risposta è inevitabile: Scostumataaa! Pronto Sestilia, la sorella, pronto zia Pina, pronto sora Nicolé, la portiera che ha un’amicizia altolocata in Rai e le dà modo di andare a vedere in studio i programmi televisivi. E qui, tra le luci del varietà, la sora Cecioni incontra Mina, Morandi, Bramieri, Celentano, Mike Bongiorno. Li apostrofa come persone di famiglia, li tempesta di domande imbarazzanti sulla loro vita privata, li punzecchia nei loro difetti.

Franca Valeri è grande attrice di teatro, regista di opere liriche, protagonista della radio. Il cinema - quello di Villa Borghese, Il segno di Venere, Parigi o cara, Leoni al sole - lo ha lasciato da tempo, insieme ai personaggi veri che ha infilato in Luci del varietà e Totò a colori. Ha illuminato la vigliaccheria dei personaggi di Sordi con la cattiveria dei suoi personaggi. Ha sempre avuto la voglia letteraria di costruire una sceneggiatura, un dettaglio, una battuta del dialogo. Il suo pseudonimo è un omaggio al poeta francese Paul Valery. Il suo stile milanese è la signorina snob, e un tubino nero firmato Capucci. A Roma invece, diceva Aldo Fabrizi, “è più romana de me”.

Oggi è il suo compleanno, il telefono è ancora occupato. Si sa, il pettegolezzo, i problemi familiari, il taglio di capelli. Per la fija de la sora Augusta maritata Cecioni, è un giorno bollente, il pollice si è incastrato nel disco combinatore dell’apparecchio. E col cellulare nun c’ha preso… Buon compleanno comunque, Franca!

30 Giu 2008

La fiction che è in te

Roma Fiction Fest

Nel Paese della Fiction gira un pullman con la scritta sulla fiancata: Scopri la fiction che è in te. Raccoglie i passeggeri davanti al palazzo di Un posto al sole, la villa di Incantesimo, la caserma de Il capitano e l’ospedale di Medicina generale. Salgono per il cast femminile: attrici, conduttrici, veline nei ruoli di pazza, furiosa, frustrata, strappona. E per il cast maschile: dirigenti televisivi, produttori, parlamentari nei ruoli di magnaccia, mascalzone, mezza calzetta. A bordo si recita a soggetto, su un semplice canovaccio: c’erano una volta uomini potenti, oggi ci sono ragazze prepotenti. Capaci di fare pazzie se un provino va male e pronte a tutto per una parte di comparsa. Pericolosissime. I politici se le palleggiano e le tengono buone perché aiutano a far cadere i governi antagonisti.

Il pullman gira e la fiction continua sulle pagine e sulle foto dei quotidiani. Quattordici raccomandanti sulla pagina pari, in giacca e cravatta, segnati da una paletta blu e un numero da 1 a 14.  Quattordici raccomandati sulla pagina dispari, coloratissimi, con la paletta rossa e anche loro un numero da 1 a 14. Se associ le foto per numero e colore, la fiction comincia ad animarsi, dipanando intreccio e personaggi: il politico e il suo attore, la segnalazione, la raccomandazione, la pressione, l’imposizione. Il giorno dopo, una nuova puntata: “è un’immagine in cui non mi riconosco”, ribatte il politico di turno che ha letto il quotidiano. E la fiction continua.

Eppure l’intenzione era un’altra. “Scopri la fiction che è in te” doveva lanciare il RomaFictionFest, la grande festa della grande fiction che si tiene tra il 7 e il 12 luglio nella Capitale. Anteprime, passerelle, convegni, dibattiti per la vetrina annuale delle nuove produzioni televisive. Uno slogan scippato. Ma si sa, nel Paese della Fiction tutto è possibile: lì le migliori intenzioni diventano realtà.

20 Giu 2008

Quelli che… le manette della libertà

Braccialetto USB

Quelli che quando nasci, a madre e figlio con il cognome in stampatello e pennarello.

Quelli che al villaggio vacanze, al museo-giardino di Venaria Reale, al concerto al Colosseo, alla Maratona Topolino, al rinfresco matrimonio (anche alle nozze Briatore-Gregoraci per evitare gli imbucati).

Quelli che rosa anticancro, rosso antiAids, bianco contro la miseria, bianconero per la libertà, azzurro contro il bullismo, violetto per la tolleranza, zebrato in difesa degli animali.

Quelli che sulla spiaggia, contiene 50 ml di crema solare protezione 20.

Quelli che al lavoro, contiene 512 megabyte di memoria portatile Usb.

Quelli che agli arresti domiciliari e in libertà vigilata, elettronico, collegato alla centrale operativa.

Quelle che per tornare a casa di notte con trasmittente gps e allarme antistupro

Quelli che nel locale a luci rosse segna il costo delle prestazioni, paghi all’uscita.

Quelli che all’ospedale Niguarda invece della cartella clinica, per non operarti allo stomaco invece che alle tonsille,

Quelli che nella bara, morte apparente, ti muovi e vengono a riprenderti.

Quelli che… un bracciale per tutti, tutti i bracciali per uno. Per evitare lo scambio di persona, per ricordarti che sei in pericolo, per proteggerti. Per controllare che hai pagato, che non scappi, che non sei morto. Per le battaglie e per la fede, per avere speranza e per chiedere amore. Per dire sì, per dire no. Perché fai parte. Perché sei fuori. Per far sapere da che parte stai.

Perché le emozioni si agitano attorno al polso. Oh yes!

30 Mag 2008

Questo volto non mi è nuovo

Vita da paparazzo

Roma, 21 giugno 1959. All’Hotel Ambasciatori di via Veneto divampa un incendio. Sorprese dalle fiamme, quattro donne che lavorano nell’albergo si gettano dalla finestra. Un fotografo si trova proprio lì sotto e scatta. Scatta a ripetizione mentre le donne volano giù. Il vestito sollevato fino alle spalle, le gambe nude, le piante dei piedi sporche, l’intimità violata. Tre donne muoiono sul colpo, solo una si salva. Il fotoservizio viene acquistato dai giornali di tutto il mondo, il fotografo diventa ricco e famoso. In Vita da paparazzo, scritto e diretto di Pier Francesco Pingitore e trasmesso in due puntate (la prima, lunedì scorso su Canale 5 e la seconda, martedì su Rete4) il volo drammatico c’è. E c’è anche il piccante spogliarello al “Rugantino” di qualche mese prima, il 5 novembre 1958, quando la ballerina turca Aiché Nanà, per colpa di un vestito troppo attillato e di una cerniera lampo difettosa, rimase in mutande. Era il via alla Dolce Vita, ma alla protagonista vera dello strip-tease, cinquant’anni dopo, non è piaciuta né la sequenza rievocativa né tantomeno la sua sosia in topless e perizoma. Ha chiesto il taglio della scena e  il risarcimento dei danni. Fatti suoi, ma non si può non pensare che la vera offesa – un pugno negli occhi, uno schiaffo al rispetto umano - è piuttosto nella sequenza che rievoca la “morte in diretta” delle quattro donne. Immagini che nel film televisivo lanciano la carriera dei due fotoreporter (interpretati da Lorenzo Crespi e Pino Insegno). Il paparazzo viene intervistato da un giornalista: cosa pensavi mentre scattavi quelle foto? Niente, io scattavo come un automa. E corre a comprarsi la spider rossa.

Vita da paparazzo2

Intanto il suo socio ha partorito Fabrizio Corona, o qualcosa che gli somiglia terribilmente anche dal punto di vista fisionomico. Il figlio cresce, ribattezza la società paterna ‘Star and Stars’ (servizi scandalistici) e spedisce le sue scagnozze camuffate da aspiranti veline ai party per sorprendere in flagrante i pezzi grossi della politica e dell’industria. “Vorrei fare televisione, mi piacerebbe fare la Ventura, la Hunziker… Ti piacerebbe fare Striscia la notizia? Certo, un sogno! Bene… allora cominciamo con striscia”. Una tirata di cocaina che finisce nella microcamera. Finisce invece in manette il finto Corona: per violazione della privacy, estorsione e associazione a delinquere. E il telespettatore pensa: voglio proprio vedere come va a finire ‘sto film. Ma una voce fuori campo lo prende in contropiede: “Preparati a votare. Sarai tu a decidere il finale di questa storia. Che idea ti sei fatto? I paparazzi sono simpatici o antipatici? Invia un sms al 48421”. Nell’attesa del voto, la pubblicità: ovvero lo spot di Vieni avanti cretino, show dello stesso Pingitore, con lo stesso Pino Insegno, in onda il giorno dopo sulla stessa rete. “Ed ecco le percentuali che avete scelto: i paparazzi sono… Simpatici!”. Clic, le manette si riaprono, padri e figli paparazzi fanno la foto ricordo.

Cosa pensavi mentre inviavi l’sms? Questo non lo chiede la voce fuori campo, ai telespettatori. E la dolce vita su Rete4 continua, con o senza  decreti salvaTv. Mal che vada volerà sul satellite, e voteranno i marziani.

14 Mag 2008

Ed è subito fiction

Moro

La guancia destra tirata in una smorfia sul viso di Aldo Moro era il capolavoro mimetico di Alighiero Noschese, animatore negli anni Settanta dei varietà del sabato sera. Tic, gesti, voci dei politici erano la sua passione, li metteva in croce tutti, Fanfani, Ingrao, La Malfa, Leone. Nel marzo 1978 Noschese era mattatore di Ma che sera, il varietà in cui la Carrà cantava “com’è bello far l’amore da Trieste in giù” e quella filastrocca scandì i 55 giorni di prigionia di Aldo Moro.

Da quel momento nessuno ha più imitato la guancia tirata di Moro. Eccola trenta anni dopo sul viso di Michele Placido, protagonista delle due puntate di Aldo Moro Il Presidente (Canale 5, regia di Tavarelli). E’ tutta un’altra storia, e fa tutto un altro effetto.

Nel paese della fiction la fedeltà fisionomica somiglia ai monumenti al centro della piazza, alle statue di poeti santi ed eroi nei giardinetti pubblici, dove si sosta, si gioca, si mangia, si legge il giornale, ci si bacia. Si vive, insomma, all’ombra degli uomini illustri, di quei lineamenti, quelle posture, quegli oggetti di affezione scolpiti nel marmo o fusi nel bronzo. Anche a Moro dunque la sua fiction, il suo monumento, la sua smorfia riconoscibile.

Cossiga

Inevitabilmente, entrano nella mimesi televisiva anche gli uomini che in quel pugno di mesi del 1978 si spartirono il potere nella Democrazia Cristiana. Fanfani, Andreotti, Cossiga, gli ultimi due ancora vivi e molto vegeti. Non importa, la fiction trucca e imparrucca anche loro, ma scontenta del risultato li sottotitola con nome, cognome e carica politica. Una sorta di omaggio toponomastico anticipato. Per i nemici, invece, ha in serbo baffetti, zazzera spettinata, eskimo, e sigaretta eternamente appesa alle labbra (terroristi-tabagisti in deroga al politicamente corretto: il fumo uccide). Mentre lavano le banconote segnate del sequestro Costa e le stendono come calzini, i postini delle BR commentano il magro stipendio - 200.000 lire al mese decise dal direttivo – e il prossimo rapimento di Moro. Con qualche dubbio sacrosanto: “ma siamo sicuri che la gente stia aspettando il comunismo, o siamo noi che lo vogliamo per noi stessi?”.

Intanto il professor Moro racconta ai suoi studenti della Sapienza la parabola dei due fratelli che litigano, si odiano, sono nemici, ma se qualcuno li minaccia si rimettono insieme. Nel salotto di casa, invita il nipotino Luca a far giocare gli scacchi bianchi e neri tutti insieme, re regina fanti e cavalli. Se si possono mettere d’accordo loro, si può portare il Partito Comunista nel governo. Come in una favola. Vallo a spiegare alla coppia clandestina che insegue Casablanca. Lei dice: “Io devo andare. Ci rivedremo?”. Lui risponde: “Sì, sulla Piazza Rossa”.

Alighiero Noschese si toglie la vita un anno dopo, nel 1979, con un colpo di pistola. Stava preparando un nuovo spettacolo: L’inferno può attendere.

26 Apr 2008

Il Quarto Stato

Il quarto stato

Sono pane quotidiano le loro moto potenti lanciate su per i Quartieri Spagnoli, le loro facce ruvide nei bar di via dei Tribunali. Li guardi con la coda dell’occhio mentre prendono il caffé con il gomito poggiato sul banco e la paletta che sbuca dai jeans. Giubbotti di pelle, felpe col cappuccio, aria stropicciata. “Ecco, vedi? Quelli sono i falchi” indichi all’amico turista, come faresti con il personaggio di una fiction che passeggia nelle tue strade. Sono così vicini, così lontani. Uno dei due ha un Rolex da ventimila euro al polso, e non aspetta altro che qualche fetente provi a rapinarlo, per fargli “nu’ mazzo tanto”. I falchi conoscono bene nomi e nomignoli degli scippatori, sanno dove abitano, come si sono vestiti stamattina, cosa hanno mangiato a colazione. Vanno a prenderli, li portano in commissariato, ma poi capita che i giudici diano gli arresti domiciliari invece che il carcere a Poggioreale, anche se di orologi d’oro in casa ne hanno trovati tre, anche se la vittima che li ha identificati ha avuto una prognosi di venti giorni. E le facce ruvide ripartono sulle moto, rabbiosamente.

La Nuova Squadra

Le rivedi in televisione, su RaiTre. Hanno la postura di ascendenza pittorica, simbolo di riscossa del Novecento, ma l’originale luce della speranza è stata spazzata via dalla riscrittura cromatica in neropistola, biancococaina, rossosangue. Sono i falchi della Nuova Squadra, sezione Spaccanapoli. Del vecchio commissariato Sant’Andrea sopravvivono quattro gatti che mal digeriscono il trasferimento presso la nuova sede, costretti a saltare dall’ottimistico “arrivano i nostri”  al vuoto di “si salvi chi può”. Poco resta dell’antica solidarietà - dopo otto anni di onorato servizio la vecchia Squadra accusava segni di cedimento - qui vige il muro contro muro, ci si guarda in cagnesco da una scrivania all’altra, gli schermi del computer accendono sospetti e bugie. Al commissariato Spaccanapoli si naviga a vista nel conflitto intestino tra il poliziotto che in questo quartiere ci è nato e crede alla necessità di una pace “di contenimento” con i boss, e la vicequestore ambiziosa che viene da Genova e impone l’attacco risoluto alla criminalità, senza compromessi. Non ci sono ragioni e torti, non c’è il bianco e il nero: per i falchi della Nuova Squadra niente è come sembra, né gli accordi provvisori con i camorristi, né i cadaveri da occultare, né il cumulo di monnezza che li salva dai killer più e meglio di un materasso. Ciò che è malamente, in questo scenario diventa provvidenziale. Ci si arrangia come si può. Sarà per questo che appassionano, anche se non te li vedi proprio in visita nelle scuole a promuovere la Polizia di Stato e a spiegare cosa è bene e cosa è male.

E allora aiutateli, signori sceneggiatori, levate via pure l’ingombrante casco integrale ai falchi della fiction: sarà diseducativo, ma nei vicoli di Napoli il casco lo mettono solo i killer per non farsi riconoscere. E ai falchi non serve certo per salvarsi la vita.

4 Apr 2008

Dolci suffragi?

Torta

Il 20 maggio 1867, il filosofo ed economista John Stuart Mill intervenne al Parlamento inglese in favore del diritto di voto alle donne. Ecco un passaggio del suo storico discorso (il testo completo, inedito in Italia, esce in questi giorni sul nuovo numero della rivista “Reset”):

“Probabilmente si pensa che le occupazioni quotidiane delle donne siano un ostacolo superiore alla comprensione della cosa pubblica. Probabilmente si pensa che coloro che sono impegnate nell’educazione morale delle future generazioni di uomini, non siano in grado di formarsi un’opinione sulle questioni morali ed educative di un popolo. E che coloro che come principale occupazione quotidiana hanno l’amministrazione oculata del denaro, in modo da ottenere il più grande risultato possibile con le minori risorse finanziarie possibili, non hanno la possibilità di insegnare niente agli onorevoli di questa o dell’altra Camera, che riescono a produrre in modo tanto singolare piccoli risultati con un grande dispendio di risorse. Nutro un elevato grado di fiducia in questa causa, che non nutrirei se il cambiamento politico che ho evocato non si fondasse su un precedente cambiamento  sociale. L’idea di una linea netta di separazione tra le occupazioni femminili e quelle maschili appartiene a una condizione lontana della società, che si perde nel passato”.

Centoquarantun anni dopo, 28 marzo 2008. In piena campagna elettorale, il leader del Popolo della libertà interviene al convegno “Donne” per l’Italia nel Palacongressi dell’Eur a Roma. Ecco alcuni passaggi del suo discorso, riportato sabato scorso dai quotidiani:

“Voi siete le nostre padrone, fra le mura domestiche. Quando voi entrate nel vostro dominio, nella casa, noi uomini diventiamo sudditi. Voi arrivate alle soluzioni per istinto. Voi siete più brave a scuola, siete più affidabili in ufficio. Siete più coraggiose nella vita. Sapete dare un apporto di concretezza e sensibilità. Chi sa far la spesa meglio di voi? Chi sa meglio di una casalinga quanto conti un consiglio di consumo dato a voce? Signore, per i giorni del voto ho una missione speciale per voi: cucinate per i seggi e per gli scrutatori. Cose dolci e squisite, mi raccomando”.

Marmellata, cioccolato, crema, montagne di panna o pioggia di bottoncini variopinti? Scegliete gli ingredienti tenendo presente che, da Charlie Chaplin in poi, nell’insondabile complessità della pasticceria è prevista un’infilata di inseguimenti, lanci e torte in faccia. Ma prima, entrando nel seggio elettorale, provate a convincere i commensali che il voto delle donne (e la loro presenza in politica e nella società) è il sale della cucina democratica, non la ciliegina sulla torta. Fatelo almeno per John Stuart Mill, che riposi in pace.

28 Mar 2008

Io sono catartica

Cannabis

Oggi a L’Italia sul Due, dalle 14 alle 15 è di scena lo spinello. Il ragazzo del filmato fuma le canne a scuola, la sorella gli tiene bordone pur non consumando, i genitori lo credono un figlio perfetto, finché la madre non mette sottosopra la sua stanza, scopre il nascondiglio e corre dal marito con una cartina rigonfia presumibilmente di erba strillando: “Ce ne sono dappertutto!”, lasciandoci immaginare una serra lussureggiante di piantine o addirittura una raffineria incastrata tra il bagno e la veranda. Il padre sbotta dal salotto: “Io gli tolgo tutto! Telefono, computer, motorino, lo lascio a pane e acqua”, ma visto che il figlio non esita a mandarlo a quel paese dopo aver inutilmente tentato di farlo ragionare, il genitore piagnucola con la moglie: “Non lasciarlo andare”. Fine filmato. Attenti, dice lo psichiatra in studio, “lo spinello fa diventare scemi”. Chi diventa scemo? I figli o i genitori? Gli ospiti si sono arroccati sulle loro seggiole con l’aria cupa, ruminano guerre senza tregua contro il devastatore della pace familiare.

Sono le 15, spot pubblicitario e L’Italia sul Due cambia tema. Dalle 15 alle 16 si parla di vendette in amore. Stesso studio, stessi conduttori, stesse sedie, stesso pubblico. Solo gli ospiti si avvicendano, ma somigliano talmente a quelli dell’ora precedente che fai fatica a distinguerli. Un altro psicologo, un altro cantante, un’altra attrice, un altro conduttore di un altro programma. L’enfasi contro la droga si è convertita in euforia, tutti raccontano come e quante volte si sono vendicati del partner. Io gli ho tagliato i fili della luce, lui mi ha dato una coltellata, io l’ho riempito di vernice rossa, lui mi ha ustionato con l’acqua calda sotto la doccia. Compiaciuti, beati e sghignazzanti, ora confessano perfidie, cattiverie, bravate. Il mondo non ci fa più paura! Certo, “la vendetta ha un risvolto catartico” li rintuzza lo psicologo. La vendetta rilassa dalla tensione e dall’ansia. E il figlio della canna, mentre tenta di riordinare la stanza dallo tsunami materno: “Ve l’avevo detto io, l’effetto è lo stesso. A ciascuno il suo!”

5 Mar 2008

Le vie del Festival sono infinite

X Factor

E il terzo giorno resuscitò. La vita delle canzoni comincia adesso, dicono a L’Italiasuldue. Dopo un’auspicata coppia etero/omo da affiancare il prossimo anno alla bionda/mora, e una spolverata al teorema urologico di Alfred Hitchcock (“La durata ideale di uno spettacolo è data dalla vescica dello spettatore”), viene annunciato il miracolo della Pasqua. I tuoni e i lampi della sigla annunciano la venuta di X Factor (RaiDue, ore 19.50). Una doccia fredda di canzoni per tutti gli italiani che cantano sotto la doccia. Canti bene? Canti male? Ma soprattutto: ce l’hai il fattore X? Solo i veri artisti lo possiedono: è quel talento speciale che trasforma una persona comune in una star.

Diecimila aspiranti X si sono messi nelle mani della Trinità, ovvero Mara Maionchi, Morgan e Simona Ventura per capire se ce l’hanno o no. Hanno comunque un numero, 0505, 0833, 0759, 0960, e un paio di minuti per presentarsi. Chi sei? Un inventore, una sosia di Mina, un istrione, una minorenne acerba ma con carattere, un cantautore macabro e cimiteriale, una che si spoglia e canta cabaret, una coppia sardo-africana, un fritto misto tra David Bowie e Renato Zero, una mattacchiona che si stende sul tavolo della Giuria. Perché sei qui? Perché cantare è la mia vita. Canto perché mi piace cantà. Cantare è un modo per dire chi sono. Emozionare me stessa è emozionare anche gli altri. Per incontrare te, Simona, e ora che ti ho visto torno a fare la cuoca sul panfilo dell’emiro del Katai. Ok, vai con la doccia. Sulle facce dei giudici è già stampato il verdetto. Via i buffi, le troppo osée, gli imitatori, e accurata riflessione sulle minorenni. Per i più dotati si aprono i cancelli del cielo. Volare oh oh. Dovrebbero volare con le scarpe tricolori di Chiambretti nel blu dello studio. C’è chi è venuto a proporre la propria immagine (come a Sanremo) e chi crede veramente di spiccare il volo con la propria anima musicale. Mal che vada c’è sempre il cielo della vicina di casa, Maria De Filippi, anche lei candidata al firmamento del prossimo Sanremo. Sarà per questo che dalle pagine de La Stampa ha risposto per le rime: “Chi stabilisce cosa sia la qualità? Colui che è unto del Signore?”

29 Feb 2008

Uno di voi mi tradirà

Sanremo

Il palcoscenico è imbandito per l’Ultima cena. I dodici Baudi sono disposti uno a fianco all’altro, uno per ogni Festival di Sanremo condotto dal 1968 ad oggi. Dodici apostoli in attesa di Pippo XIII. Il Profeta emerge da una botola, la liturgia ha inizio.

Baudo: Noi non siamo né da una parte né dall’altra, ma in cielo.

Chiambretti prima degli indici d’ascolto: Sanremo è la messa cantata? E noi la faremo in latino.

Chiambretti durante la lettura degli indici d’ascolto recita il rosario.

Chiambretti dopo il flop indicando Baudo: non mettete in croce quest’uomo!

Baudo: il calo di ascolti è una responsabilità che ci riguarda tutti. La qualità è una crociata.

Del Noce: buttare la croce addosso a Sanremo sarebbe ingeneroso.

Baudo: chi avresti portato per fare una bella sorpresa? Io San Remo.

Chiambretti: nel monastero di clausura sulle colline di Sanremo pregano per Baudo, per il maestro Caruso, per me e per i cantanti.

Del Noce: io adoro i canti gregoriani.

Loredana Berté: paradiso un corno/ siamo già all’inferno/ l’arrivo previsto di un povero Cristo/ non ci salverà!

I critici televisivi: servirebbe uno scandalo al giorno.

Baudo: e allora scazzottiamoci e prendiamoci a pesci in faccia, ma così fottiamo il pubblico e avremo un’Italia di merda.

Loredana Berté: solo tu, solo tu sei/ solo tu, solo tu sai/ chi sono i ladroni/ chi sono i buoni/ Ti hanno messo in croce/ Stop!

19 Feb 2008

Ogni cosa è illuminata

Caravaggio

E’ andata in onda con il bollino giallo, la fiction di Angelo Longoni su Michelangelo Merisi da Caravaggio (RaiUno, 17 e 18 febbraio). Bollino giallo che evoca i braghettoni dipinti da Daniele da Volterra sulle nudità del Giudizio Universale di Michelangelo, e dire che sono passati quattrocentocinquant’anni. Perché il bollino giallo? A causa delle notorie tendenze bisessuali del genio della pittura? Dubbio fugato perché i gay hanno criticato la fiction, loro avrebbero voluto un Caravaggio “più omosessuale”. A causa di Giordano Bruno che brucia sul rogo di Campo de’ Fiori, o di Beatrice Cenci con la testa decapitata ed esposta sul ponte di Castel Sant’Angelo? Censura da far rivoltare i cadaveri sui tavoli autoptici dei Csi e dei Ris.

Si consiglia la visione ai minori solo se in presenza di un adulto. Eccolo l’adulto, è un maestro della visione, ha vinto tre premi Oscar ed ha diretto la fotografia della fiction tv. E’ Vittorio Storaro. La “sua” luce rende i volti espressivi come paesaggi e i paesaggi intensi come volti. Dice Storaro: “Caravaggio non era un pittore, era un rivoluzionario: era regista, costumista, sceneggiatore, direttore della fotografia. Ho cercato di restituire il suo sguardo”. Il suo sguardo: gli occhi di Caravaggio che bevono come una spugna la luce e che alla luce si arrendono sull’ultima spiaggia, il bruno dei capelli fuso in quello delle alghe.

La luce. E pazienza se Michelangelo Merisi scappa dalla sua infanzia con uno spadone che sembra la coperta di Linus, se il suo antagonista Ranuccio Tommasoni ha la fisionomia dell’orco cattivo, se le donne vengono indicate con il logoro vocativo “puttana”. Il Papa perdona, l’agiografia televisiva no.

Lo sa bene, Caravaggio: è una fuga impossibile, quella dagli schermi. Pure nella cappella di San Luigi dei Francesi, a Roma, c’è sempre un turista a difendere la battaglia con la luce: infila un euro nella cassetta delle offerte e parte l’illuminazione a tempo. Niente bollino giallo, sui display delle videocamere digitali.

6 Feb 2008

La guerra dei Ris

Faccia a faccia tra il capitano Riccardo Venturi e Don Matteo, ogni giovedì in prima serata su Canale 5 e RaiUno. Il prete in bicicletta è partito in vantaggio fin dalla prima puntata della nuova serie (la 6°, i Ris sono ancora alla 4°), con un’apoteosi che non è sfuggita ad Antonio Dipollina (La Repubblica, 19 gennaio). Ad un certo punto, il nuovo capitano Tommasi dice al maresciallo Frassica: “I Ris analizzeranno queste lettere e scopriranno dov’è stato il nostro uomo nelle ultime due settimane”. E Frassica: “E’ stato in Brasile, me lo ha detto prima la governante”.

Ris

E’ un brutto colpo per i Ris della fiction, così seriosi, così precisi, un po’ troppo musoni negli ultimi tempi. Allo sfottò si aggiungono alcune dichiarazioni sulla stampa. “Anche il carabiniere di paese può aiutarci” afferma il colonnello Luciano Garofano, comandante “vero” dei Ris di Parma. E lo scrittore Carlo Lucarelli rincalza: “Il maresciallo del paesino di provincia ancora oggi, come prima cosa, va al bar a chiedere informazioni. E qualche magistrato che credeva di essere un protagonista dei Csi poi non ha portato a casa un granché”. Don Matteo Figuriamoci: se il carabiniere di paese con le sue strategie investigative aiuta i Ris a risolvere un caso, cosa succede se c’è un prete detective ad aiutare un carabiniere? Diventano imbattibili, come una catena di Sant’Antonio capace di resistere a realtà, finzione e dati Auditel messi insieme. L’anima la vince sul Dna, il confessionale sull’interrogatorio, la tonaca nera sulla tuta bianca, Natalina sull’anatomopatologa, il respiro del paesaggio sulla claustrofobia del laboratorio, la comunità sulla squadra, il campo/controcampo sull’effetto split, l’illuminazione di Dio su ‘Dio è negli dettagli’.

Forse i Ris della fiction quest’anno sono partiti col piede sbagliato. Prima scena della prima puntata, sui banchi del concorso per l’ammissione all’Arma. Un giovane informatico spiega agli esaminatori, tra i quali c’è anche il capitano Venturi: “Io credo che viviamo in un mondo molto confuso. Vorrei aiutare a fare chiarezza, con scientificità. Vorrei entrare nei Ris”. Ce la fa, entra nei Ris e tanti giovani davanti allo schermo vorrebbero essere al suo posto, nella realtà. Però un lettore de La Stampa (2 febbraio) riporta tutti all’ordine. Ha riscontrato, sul bando di concorso per l’ammissione di allievi marescialli del ruolo ispettori dell’Arma dei Carabinieri, che saranno giudicati non idonei gli aspiranti con vistosi tatuaggi sul corpo. E allora, chiede agli autori della serie, come la mettiamo con la stella tatuata sulla parte destra del collo dell’attrice che interpreta un’affascinante marescialla?

Battaglia persa, per i Ris, anche su questo fronte: in una vecchia puntata Don Matteo, in segno di solidarietà con una ragazza emarginata dai parrocchiani, si fa tatuare da lei una croce sul braccio. La mostra con orgoglio al maresciallo Frassica. Nessuno protesta, dentro e fuori la fiction. Terence Hill è pur sempre il pistolero Trinità, e il suo maestro è Sergio Leone.

23 Gen 2008

Tre marziani a Roma

La bolla al Ponte Milvio

Qui il 28 ottobre 312 Costantino vinse la battaglia contro Massenzio. Qui un anno fa un lampione è caduto sotto il peso di centinaia di lucchetti. Qui, a Ponte Milvio, è atterrata l’aeronave del Grande Fratello. Una grande bolla di plastica trasparente di 8 metri per 4 con a bordo l’ingegnere Ali, l’insegnante di educazione fisica Francesco e il meccanico Andrea. Sono gli aspiranti-concorrenti della Casa, ma solo uno di loro vi entrerà. Per tre giorni, sotto gli occhi dei passanti, strascicano i piedi sulla pedana azzurra, si stravaccano sul divano rosa e rosso, aprono e chiudono il frigorifero celestino, piantano i gomiti sul drappo arancione che ingentilisce il tavolaccio rustico. Si guardano intorno, cercano occhi. Sono l’attrazione del weekend romano, dopo l’Angelus e la partita all’Olimpico. Tre giorni sottovetro, in attesa del televoto, tra gli amici che sventolano bandiere con i loro nomi, famigliole a passeggio e turisti di passaggio. Non mancano effetti indesiderati: un geometra calabrese di 29 anni si ammanetta davanti alle transenne che circondano la struttura. Vuole entrare anche lui.

Lunedì alle 21.30, quando inizia la diretta, c’è appena il tempo di una panoramica sulla porta fortificata e di un paio di zoom sulla bolla. Alessia Marcuzzi guarda incredula sul grande schermo l’ingegnere, l’insegnante e il meccanico storditi dal riverbero dei fumogeni colorati che  si alzano tra le urla della folla: “A marziani!...”. Un opinionista in studio afferma che quei tre sono un caso tipico di idolatria dell’ignoto, un altro prevede che saranno linciati. Il collegamento si interrompe bruscamente, gli autori decidono in fretta e furia di portare in salvo i tre concorrenti nella casa televisiva, poi si vedrà. Nel chiarore della luna piena, sui sampietrini giacciono abbandonate le spoglie di uno striscione con la scritta: ‘La casa non è un gioco’.

Il giorno dopo, a Ponte Milvio non c’è più traccia dell’aeronave. “Ho sorriso pensando a questa dolce Roma che mischia i destini più diversi in un giro materno e implacabile”, scriveva Ennio Flaiano.

16 Gen 2008

Monnezza in tv

I migliori anni

Dalla tv-spazzatura alla spazzatura-in-tv: una nemesi, forse. Fatto sta che la monnezza si è sparpagliata sullo schermo, i programmi hanno scoperchiato il problema “smaltimento”, e la faccenda comincia a puzzare.

Ieri notte Matrix ha trasmesso un servizio che affastellava i commenti indignati delle più prestigiose reti televisive mondiali sui cumuli di immondizia a Napoli, e subito dopo un lungo collage composto di spezzoni di telegiornali degli ultimi sette anni sul tema dell’emergenza rifiuti in Campania. Entrambi i filmati erano uno stoccaggio di altri servizi, riportavano notizie fondate su altri reportage, con una accumulazione vertiginosa di televisione nella televisione, impressionante come una discarica. Come le discariche-polveriera che in questi giorni sovrastano la presenza delle cose e del mondo.

Anche la memoria televisiva diventa sempre più difficile da smaltire, inutile che si travesta da miniera d’oro come “I migliori anni”, il varietà del sabato sera di RaiUno condotto da Carlo Conti. Anni 50, 60, 70 ogni settimana in gara tra loro, giudicati da un centinaio di diciottenni super partes. Evviva, niente luoghi comuni dell’amarcord, spazio al guazzabuglio creativo e ricreativo di chi in quei decenni non era ancora nato, e chissà che non ci aiuti a scovare qualcosa che finora ci è sfuggito.

E invece la ‘classe 1990’ se ne sta muta per tre ore, schiacciando compulsivamente il bottone di un telecomando, manco fosse il tasto del telefonino o del videogioco, meno espressiva delle chiome bionde e more delle due vallette, che almeno simboleggiano l’epica sfida (il colore dei capelli è significativo tanto per le veline quanto per le deputate d’assalto). Sullo schermo scorrono gli argomenti del confronto tra anni Cinquanta e Ottanta, in studio sfilano vecchie glorie dello spettacolo: Gina Lollobrigida, Carol Alt, Carlo Croccolo, Toto Cotugno, i Ricchi e i Poveri, Teddy Reno, Wilma de Angelis. Canzoni, balli, tormentoni, sex simbol (scritto proprio così, elogio della sciatteria a caratteri cubitali) e personaggi sfatti di ricordi, dissecati di emozioni. La tv li ha spremuti fino all’osso, restano le scorie da smaltire. 

Altro che nemesi: per uscire dall’emergenza rifiuti bisogna cominciare dalla raccolta differenziata, ma senza termovalorizzatori che futuro ha la memoria televisiva?