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Piero Manzoni

Piero Manzoni

Museo D’Arte Contemporanea DonnaRegina
Napoli, dal 20 maggio al 24 settembre 2007

www.museomadre.it

Le ragazze del Madre diventano sempre più graziose, solerti, scrupolose. Anche grazie a loro sembra di stare in una piccola Svizzera felice e non alle falde di Forcella. Hanno eleganti divise - maglia e pantaloni neri con grande logo giallo disegnato sulla tasca – tesserino di riconoscimento al collo e walkie-talkie con cui, mentre ti seguono passo passo, a bassa voce comunicano alla collega che stai per arrivare nella sala successiva. L’effetto è da Presidente sotto scorta in visita ufficiale, ma comunque sia qui l’arte contemporanea sta al sicuro.

E così ancora una volta ho respirato un bel contrasto: tra il clima compassato, sorvegliatissimo del museo e l’arte provocatoria, radicale, insofferente di Piero Manzoni. Duecentocinquanta opere, più altre opere degli artisti che lo hanno influenzato (Jean Fautrier, Alberto Burri, Lucio Fontana) e con cui ha stretto affinità elettive (Enrico Castellani, Yves Klein, Heinz Mack). E poi inviti e locandine che raccontano il clima delle serate d’arte (“Pane, salame e formaggio con vino di Barbera asciutto è quanto le possiamo offrire nella riunione presso la Galleria del Prisma. Due chitarristi e una chanteuse improvvisata ravviveranno la serata. La aspettiamo con Amici”). Tavole cronologiche con il contesto storico-artistico in cui Manzoni è vissuto e ha lavorato, utili per far confronti, riempire vuoti, sbrigliare ricordi. Tra le curiosità segnalate nel 1958, la visita di John Cage alla sede Rai  di Milano su invito di Luciano Berio, durante la quale Cage compone un’opera elettroacustica e partecipa come concorrente esperto di funghi a “Lascia e raddoppia” di Mike Bongiorno.

Il mondo, diceva Piero Manzoni nel 1957, non necessità più di rappresentazioni celebrative, ma di presenze. In quegli anni e fino al 1963 (quando morì d’infarto a soli 30 anni) contro lo stile Manzoni sperimentò l’arte come carne viva, “versione diretta, scottante e inalterata delle emozioni più segrete dell’artista”. Partendo dall’autoanalisi sul ruolo dell’artista di fronte all’autoreferenzialità dell’opera d’arte: gli “Achromes” - tele su cui applica caolino, peluche, ovatta, palline di polistirolo, rosette panificate, tutto bianco, non-colore –  e le “Linee”, rotoli di carta di varie lunghezze racchiuse e sigillate in scatole cilindriche. E approdando al corpo dell’artista che diventa opera d’arte e delle sue vestigia che assurgono a reliquie: i “Fiati d’artista” - palloncini gonfiati dall’alito vitale di Manzoni - e le famosissime scatolette di “Merda d’artista”.

Si sente l’eco di Duchamp, Dalì, Bataille, ma Piero Manzoni esaspera la provocazione. Dopo l’Esposizione Internazionale di Niente (“Vendita di niente, numerato e firmato. All’inaugurazione non prenderà la parola nessuno. Su questo catalogo non è riprodotto niente”) chiama il pubblico a consumare l’opera d’arte, mangiando le uova sode su cui ha impresso l’impronta del suo pollice, e lo invita a diventare scultura vivente, apponendo sul corpo dei presenti il suo autografo. Diventare opere d’arte si può: chi sale sul piedistallo magico sarà consacrato tale per il tempo della permanenza. Diciamo un quarto d’ora di celebrità, prima di Warhol e delle televeline.

(10 giugno 2007)