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Lettera

"Abbi cura di te"

di Sophie Calle

La Biennale di Venezia. 52° Esposizione Internazionale d’Arte.

Padiglione Francia ai Giardini. 10 giugno - 21 novembre 2007

Come è possibile che le persone per uscire da una storia d’amore debbano essere così crudeli? Se lo chiedeva qualche anno fa l’antropologo Franco La Cecla in un libro bellissimo: Lasciami. Ignoranza dei congedi (Ponte alle Grazie, 2003). Ero rimasta ferma lì. A quel libro che raccontava il valzer brutale dei nostri addii, ma guardava ad un’arte del lasciarsi meno dolorosa e violenta. Perché la fine di un amore non è un lutto (l’amato o l’amata non muoiono per niente) e la vita continua. “Quello che ci viene richiesto di elaborare non è un vero lutto, ma l’esercizio del distacco”. Al contrario dell’amore, Lasciami – come tutti i libri di Franco La Cecla - è un libro di cui innamorarsi e da portare con sé, per sempre.

Della foto-artista Sophie Calle invece non sapevo nulla. La scorsa estate ho letto qualcosa del suo video presentato alla Biennale d’Arte di Venezia. Ho ritagliato l’articolo e l’ho messo da parte. Poi, l’altro giorno ho letto su ‘La Repubblica’ (11 novembre 2007, anche sul sito www.repubblica.it) il paginone di Concita De Gregorio dedicato all’installazione e al libro della Calle (Take Care of Yourself, pubblicato in Francia per Actes Sud). Ci sono anche le parole dell’artista che racconta il suo congedo.

Philosophe

“Ho ricevuto una e-mail che diceva: è finita. Non ho saputo rispondere. E’ stato come se non fosse destinata a me. Finiva con le parole: ‘Abbi cura di te’. L’ho fatto. Ho chiesto a 107 donne scelte per il loro mestiere di interpretare la lettera sotto un profilo professionale. Di analizzarla, commentarla, metterla in scena, danzarla, cantarla. Di asciugarla, di consumarla. Di capirla per me. Di rispondere al posto mio. E’ stato un modo per attraversare il tempo della rottura. Un modo per prendermi cura di me”.

Tra le 107 donne: Jeanne Moreau, Laurie Anderson, Victoria Abril, Natalie Dessay, una studentessa di scuola media, una cartomante, una scrittrice di parole crociate, un’avvocato, una campionessa di tiro con la carabina, una giocatrice di scacchi, una rapper, una esegeta di talmud. Ci sono pure Luciana Littizzetto e la figlia segreta di Mitterand. La lettera vola di mano in mano. Le attrici la leggono, le cantanti la cantano, le ballerine la ballano. La maestra elementare la propone come compito ai suoi alunni, la criminologa anatomizza il soggetto mittente, l’avvocato suggerisce due anni di carcere. La latinista traduce: Cura ut valeas.

La lettera viene stropicciata, scarnificata, sezionata, analizzata come testo e paratesto, tradotta in codice morse, in codice a barre, in braille. Alla fine è Brenda, un pappagallo femmina dalla cresta dorata, a farla a pezzi, assaggiarla e sputarla via, lontano. Un repulisti che avrà dato da pensare anche a Franco La Cecla e alla costellazione di vibrazioni, emozioni e compassioni del suo Lasciami.

“Abbiate pazienza, siamo tutti nella stessa barca”, conclude lui.

“Abbiate cura di voi”, conclude lei.

Il libro lo dedica all’uomo che l’ha lasciata, ma poi allestisce nella Biennale un ironico, amaro, consapevole spazio dell’addio. Ci ha fatto un grande regalo, Sophie Calle. Ha trasformato una stanza tutta per sé in una stanza per noi tutte. Vendicative e no.

(14 novembre 2007)