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Copertina libro

Mario Lodi

La tv a capotavola

Mondadori, Milano, 1994, pp.125, lire 25.000

L’avevano messa in una stanzetta, come una serva, e vivevano felici e contenti nella grande casa contadina. Nonno Simone e nonna Gemma, papà Francesco e mamma Luisa, i nipoti Federico e Maria, con contorno di bisnonna Rosa e zio Gegé. A pranzo e a cena scodellavano, insieme alla minestra, tutti i loro problemi. Si conversava, si rideva, si discuteva animatamente.

Ma un brutto giorno cambiarono casa e tutto cambiò. Nuovi spazi, nuove abitudini. E una metamorfosi inaspettata. Nonnina Rosa, che ora aveva a disposizione una cucina enorme, più grande del soggiorno, con i fornelli al centro come nei grandi alberghi, espose la sua idea: “Il grande mobile a tre ante sta lì dov’è, al centro della parete lunga. Il lungo tavolo da dieci posti lo mettiamo perpendicolare al mobile dispensa con il lato corto di fronte al vano a giorno vuoto. Lì dentro ci sta il televisore. Ho già misurato”.

cucina

Così la scellerata finì in cucina. “Ma la televisione a capotavola è innaturale!” tentò di protestare Simone. Niente da fare. Rosa e Gemma gli fecero notare che la tv porta le notizie dal mondo, la musica, gli spettacoli, c’è sempre qualcosa da vedere e da ascoltare. E loro stavano quasi tutto il giorno a lavorare in cucina, spesso sole. “Se è qui posso lavorare e ascoltare o vedere quel che mi pare”. Così il tempo del silenzio e della conversazione finì. Da quel giorno non si ascoltò che lei e, se si parlava, si parlava solo di lei. A pranzo c’erano i telegiornali, poi la pubblicità, poi la telenovela. La sera, dopo i telegiornali, si sparecchiava in fretta negli intervalli pubblicitari e si sceglieva il film da vedere.

Simone si chiudeva nel suo studio e, non potendo più dialogare, teneva un diario. Che per forza di cose parlava di lei e di quegli ospiti non invitati che invadevano tutti i giorni la sua casa. Simone si chiedeva se la sua fobia antitelevisiva fosse causata da stanchezza o da senilità incombente. Poi si addormentò e sognò. Un lungo sogno abitato da giornalisti e da un Gran Mercante che voleva vendere la televisione al Re e lui, Simone, che protestava, perché la televisione appartiene a tutti, non è una merce, serve per conoscere chi sta lontano da noi, per diventarne amici… Poi il sogno diventò un incubo e Simone si svegliò. Scese in cucina, nel silenzio della notte. Il televisore a capotavola stava ancora lì, davanti a lui, muto, inerte e terribile.

cucina

Non c’era una volta, neanche a Cavriglia, la televisione. Per una settimana sola, due anni fa. Cavriglia, un comune di ottomila abitanti del Valdarno aretino, sottopose i bambini ad un esperimento scientifico per studiare l’età dello sviluppo e verificare se l’esposizione al video anticipasse la pubertà. La settimana precedente l’esperimento, bisognava guardare un po’ più del solito la televisione. Poi, il lunedì mattina, dopo aver prelevato un campione di urine, cominciava la settimana di astinenza, senza tv né videogiochi. I piccoli, rassegnati, resistevano in nome della scienza, mentre i genitori si divertivano da matti a preparare per i figli programmi alternativi, di tutto di più, dalla prova del cuoco a sarabanda al quiz, proprio come un palinsesto televisivo. Il black out sarebbe continuato fino al lunedì successivo, quando un secondo prelievo di campioni di urina avrebbe permesso di valutare se l’assenza di esposizione alla tv riduceva nei bambini la quantità di melatonina, ormone che esercita un freno sulla funzione sessuale.

Il sindaco esultava: “Checché ne dirà la scienza, sarà una settimana felice, parleremo di più, litigheremo di più, faremo più giochi insieme”. Ahimé, non aveva messo in conto la proprietà reversibile di Maometto. Perché se Maometto non va alla montagna, è la montagna ad andare da Maometto. Allontanati i bambini dalla tv, fu la tv ad avvicinarli: un’invasione di telecamere così, a Cavriglia non s’era ancora vista, con le troupe che la sera si infilavano nei salotti per chiedere se si divertivano anche senza il Grande Fratello.

Finito dritto dritto nella trappola mediatica, proprio come il povero Simone, lo sventurato sindaco scosse la testa. “Sa qual è la cosa pazzesca?”, confidò al giornalista. “Che poi non possiamo neanche rivederci, perché abbiamo tutti la tv spenta”.

(31 maggio 2006)