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Copertina libro

Melanie Dunea

My last supper

Bloomsbury Publishing, 2007.

Nei loro ristoranti si fanno esperienze uniche, a metà tra la performance artistica e la rappresentazione teatrale. Dispensano filosofia ed emozioni, parole della scienza e aggeggi futuribili. Ferran Adrià, il Dalì dei fornelli, cuoco catalano del ristorante El Boulli in Costa Brava, dice: “L’arte è concettuale: in genere non la si può vivere direttamente, mentre quando io cucino porto nel corpo di un altro la mia opera. E’ meraviglioso, per me. Questa è come una comunione: dopo il corpo, viene l’anima”. Rapporto gastronomico totale, pari solo al cannibalismo d’onore, come quello di Toro Seduto che mangia il cuore del Generale Custer per rendergli omaggio.

Il cibo è dono e possessione, dunque. In fondo al cammino, l’anima. E il congedo dai piaceri del corpo. La fotografa americana Melanie Dunea ha chiesto a cinquanta cuochi famosi quale vorrebbero fosse la loro ultima cena, con chi la trascorrerebbero, con che menù imbandirebbero la loro lapide. Naturalmente è uscito un catalogo eccentrico e variegato. Chi, come Paul Bocuse, la immagina su Marte, con una caponata siciliana per antipasto e chi (uno a caso: Ferran Adrià) cucinata dal redivivo Auguste Escoffier, tornato in vita solo per trasmettere i segreti della sua arte e riportarli di nuovo nella tomba. Chi nel Palazzo Reale di Bangkok, davanti a un piatto di tonno con tapioca piccante e pera dell’Asia e chi non importa dove basta che siano spaghetti all’arrabbiata.

Più attaccati alle radici familiari gli ultimi desideri dei cuochi italiani, che “Panorama” (15/11/2007) ha interpellato continuando il gioco di My last supper. Alfonso ed Ernesto Iaccarino del Don Alfonso di Sant’Agata immaginano il congedo a Punta Campanella, guardando Capri con una vera pizza margherita con bordo alto, pomodori del piennolo e mozzarella di bufala. Massimo Bottura, chef della Francescana di Modena, vorrebbe spegnersi con tortellini in brodo piccoli e erotici come l’ombelico di Venere, ripieni di prosciutto stagionato e parmigiano di collina. Fabio Picchi del Cibreo di Firenze si porterebbe nella tomba una parmigiana di melanzane, e Massimiliano Alajmo la merenda di ricotta, zucchero e cacao lavorati col latte che gli preparava la mamma. Gianfranco Vissani, prima del distacco, gradirebbe una bruschetta aglio e olio. Buona da morire.

P.S. Vai a Periscopio: ultime cene tra arte e dramma. 

(22 dicembre 2007)