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Copertina libro

Gianrico Carofiglio

Ad occhi chiusi

Sellerio, Palermo 2003.

Non so se sia più corretto seguire la corrente, risalirla, o nuotare a piacere nell’opera e nelle sue trasposizioni. Fatto sta che questa volta ho visto prima la fiction di Alberto Sironi su Canale 5 (sceneggiatura di Carofiglio, Domenico Starnone e Francesco Piccolo) e poi letto il libro di Gianrico Carofiglio da cui è tratta.

Il caleidoscopico Carofiglio lo conosco attraverso le pagine dei giornali: magistrato barese, attualmente consulente della Commissione antimafia, sulla cresta dell’onda tra teatro (“L’arte del dubbio” per Artisti Riuniti), cinema (“Il passato è una terra straniera”, regia di Daniele Vicari), graphic novel (con il fratello Francesco, “Cacciatori di tenebre”, Rizzoli) e audiolibri (per l’editore Emons, lo stesso Carofiglio è voce narrante di “Testimone inconsapevole”). Che non ho letto, visto, ascoltato.

Mentre Carofiglio va avanti come un treno, io sono ancora qui a bisticciare tra (tele)visione e lettura di Ad occhi chiusi. Con la faccia di Emilio Solfrizzi, le cartoline panoramiche di Trani, le dissonanze dei violini della colonna sonora che si parano davanti alle pagine scritte. Per non parlare del fantasma di Montalbano, stesso orizzonte azzurro, stessi ristorantini in riva al mare dove si mangia il pesce, stessi silenzi e malinconie dei due protagonisti (e stesso regista, naturalmente: Alberto Sironi).

Un commissario e un avvocato. Mi sono messa a divagare, a seguire la scia visiva, a pedinare i caratteri per conto mio. Salvo Montalbano, Guido Guerrieri e le donne. Uno ama Livia e l’altro Margherita: donne economicamente indipendenti, emotivamente autonome, sensibili e comprensive quanto basta per mantenere la giusta distanza con l’uomo che amano. Distanza fisica e mentale, tanto intelligente quanto assente nella vita comune delle persone. Livia abita in un’altra città, Margherita due piani di sopra, ma non è questione di metri o di chilometri. Il fatto è che Guerrieri (ma forse anche Montalbano) ha bisogno di dormire da solo qualche volta, di cullare la propria insonnia. Chi ci crede che è per non disturbare lei? E’ allo spazio vitale che non vuole rinunciare. E dal canto suo anche Margherita (e se ben ricordo anche Livia) se la dorme beatamente da sola, non soffre la solitudine né teme distacchi e abbandoni per via del materasso vuoto. Guido (ma anche Salvo) ricambia con una fedeltà praticamente assoluta, qualche innocente fantasia, caste amicizie femminili e approcci che lasciano il tempo che trovano.

Però Guerrieri è capace di prendere cantonate tipicamente maschili (mentre Salvo è fatto di un’altra pasta). In Ad occhi chiusi arriva a credere persino che suor Claudia sia veramente una suora, una suora dagli occhi indecifrabili che pratica le arti marziali, porta i capelli sciolti sulle spalle, indossa i jeans e un giubbotto di cuoio nero. Una sera lei lo bacia sulla bocca (lo sfiora appena in tv, con passione temeraria nel libro), ma lui niente. Sospende il giudizio, almeno fino a quando lei gli mostrerà le ferite del suo tragico passato.

Guido schiude il suo animo confessando segrete debolezze, e Suor Claudia vibra di emozione dando libero sfogo alla voce interiore. Ma solo nel romanzo. Sullo schermo, tutto diventa un po’ buonista e un po’ melodrammatico.  Abdou, il cliente senegalese di Testimone inconsapevole, invece di scrivere a Guido una semplice cartolina per Natale (come nel giallo) diventa assistente fisso di Guerrieri e si fa pure accoltellare; il vecchio amico Emilio telefona a Guerrieri dall’auto su cui sta per suicidarsi trascinandolo in terribili sensi di colpa; il sostituto procuratore Alessandra Mantovani non se ne va a Palermo, ma resta a combattere con Guido sfidando le ingiustizie della legge. Fino al deragliamento del lieto fine: nel romanzo l’aguzzino uccide la giovane donna vittima di maltrattamenti, nella fiction Martina (la riconoscibilissima Maria-Margot Sikabonyi di un Medico in famiglia!) se la cava con qualche graffio.

Resta la scena commovente che chiude il cerchio narrativo. Perché la fiction (ma non il libro) cominciava con il flashback del piccolo Guido in bilico sul cornicione di un palazzo e sotto il vuoto terribile, la paura di non farcela per mancanza di coraggio, che lo ha tormentato finora. Adesso, sui titoli di coda, Guerrieri sta per lanciarsi nel vuoto con il deltaplano. Stessa luce inquietante, stesso mistero della vita e della morte di tanti anni prima. Chiude gli occhi e si lascia andare: con stupore, con gioia, con Margherita.

(24 gennaio 2008)