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La provincia, quotidiano di Como

16.1.2005

 

FICTION In viaggio nelle storie della tv Intervista con Luisella Bolla, autrice di un testo che affronta l'analisi degli sceneggiati «storici».

 

Che cosa rimane degli sceneggiati o teleromanzi degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, che riunivano ogni settimana attorno al focolare televisivo le famiglie italiane beneficiate dal boom economico del secondo Novecento? Che fine ha fatto «l'uovo sodo di Maigret consumato in solitudine con Madame Louise davanti alla cena fredda? E le sorelle Materassi che sospirano pensando al bel nipote Remo mentre cuciono e scuciono? Lazzaro Sacerni molinaro del Po? I Fenwick idealisti e sfortunati che muoiono in miniera e i Barras padroni odiosi che signoreggiano nel salotto gozzaniano? Le micidiali frecce nere che combattono i soprusi di sir Daniel Brackley? Le magliette dolcevita sotto le giacche a losanghe di Archie Goodwin, braccio destro di nero Wolfe? I fatidici ventidue minuti di faccia a faccia tra Ivan e Alioscia Karamazov?» E la voce profonda di Alberto Lupo, il cielo immoto di E le stelle stanno a guardare e la stupita malinconia de La Cittadella, il volto intenso di Ugo Pagliai e i lamenti della Baronessa di Carini, Walter Bencivegna e i suoi atteggiamenti da dandy, Manfredi - Geppetto e Pinocchio, Sandokan e il tenente Sheridan, dove sono, in quale banda dell'etere si sono persi per sempre? Se lo chiede con sentimenti critici e nostalgici Luisella Bolla, novella Alice del tubo catodico, studiosa dei media e della comunicazione, in un saggio che percorre il paleolitico televisivo del bianco e nero, quando la fiction non si chiamava sceneggiato, e la passionale scatola magica regalava momenti d'autentica commozione. Incantesimi - Alice nel mondo della fiction, è il racconto di un mondo televisivo dove registi come Vittorio Cottafavi e Anton Giulio Majano, Edmo Fenoglio, Mario Landi e Sandro Bolchi adottando le formule della letteratura popolare dell'Ottocento fecero convivere il gotico, il nero, il melò, il poliziesco e il picaresco con apprezzabili risultati. Questi feuilleton furono gli antenati delle soap - opere dagli anni Ottanta in poi, molto prima che il genere "imboccasse il viale dei miracoli di morte e resurrezione dei personaggi " di Beautifil, Sentieri e altre decine di serial famosi. «Il libro - dice Luisella Bolla - non è un lavoro disciplinare, e nasce dalla voglia di raccontare. Non è indicativo, prescrittivo, scientifico, sistematico, sociologico e semiologico, ma un viaggio che si mette nell'ottica della scoperta». Come è arrivata alla radiografia di un materiale televisivo piuttosto assortito? Mi sono occupata spesso di programmi televisivi anche per la Rai, e avevo voglia di raccontare un'esperienza che passasse attraverso gli episodi visti delle serie televisive, le sigle e i trailer, ma anche attraverso i ritagli dei quotidiani e dei rotocalchi, i commenti sentiti al mercato, sul tram o nelle riflessioni dei registi. Ho messo insieme un materiale composito tratto sia dalla mia visone diretta di telespettatrice, sia dal rubato dalla realtà del mondo narrativo che è la fiction, un paese di storie costruite con una reinvenzione infinita del mondo onnivora e pervasiva. Nella metamorfosi che ha trasformato gli sceneggiati in fiction, quali sono le varianti sostanziali? All'inizio il paese in bianco e nero della televisione, scorreva sui ritmi del libro, aveva come corrimano la letteratura, camminava su e giù nella storia con l'appoggio dei grandi romanzi dell'Ottocento. La televisione pedagogica, la neo televisione degli inizi raccontava il mondo del passato, poi ad un certo punto sono arrivati i telefilm, le soap opere, le telenovele, cioè un tessuto complicato che rispetto ad uno sceneggiato è quasi imprendibile. Quella di oggi è un'unica grande storia composta di tutte le narrazioni televisive, che si aggiusta sulle nostre emozioni come una gelatina. È un palinsesto che, al contrario di ieri, che procedeva di domenica in domenica e aveva delle attese più lunghe, oggi la suspense, i colpi di scena, le lacrime e i sospiri, non sono più sospesi da nessun intervallo: c'è un flusso incessante di racconti che ci trascinano e che, sviluppati e trasformati, si sono sistemati nel nostro discorso quotidiano e nel nostro linguaggio. Ma che cosa è cambiato? Tecnicamente molto, sostanzialmente nulla. C'è ancora un sistema di incantamento che fa i conti con narrazioni che vengono dal feuilleton e dalla letteratura d'appendice e si mescolano con le regole dello star system, con le nostre ideologie, con nuove indicazioni valoriali, con nuove mode e nuove modelle. Semmai è venuta a mancare la nostalgia dell'attesa, il fatto che una storia si sgranava nelle settimane e nei mesi, convogliando nel suo incedere un po' limaccioso le scorie vitali di milioni di spettatori. Lei, un po' ironicamente ma non troppo, scandisce la giornata di una casalinga che corre e si affanna per non perdere mai un appuntamento con le varie soap opere che ogni giorno affollano i palinsesti televisivi. Non le pare una passione esagerata? È un aspetto di piacere e di puro relax nella routine giornaliera. C'è chi si sveglia alle sei per vedere «Esmeralda», corse per fare la spesa e arrivare a tempo a vedere «Vivere», pranzo in perfetta sincronia con «Beautiful» e lavaggio stoviglie davanti a «Cento Vetrine». Quando va in onda «Sentieri», si stira. Al mercato mi sono imbattuta in due signore che si contendevano il fruttivendolo e poi si accapigliavano per essere servite prima, e tornare in fretta a casa perché non volevano perdere un appuntamento con le soap. C'è qualcosa di comico e grottesco in questo quotidiano interagire tra realtà e finzione. Spesso m'è capitato di ascoltare gente che discuteva di fiction o delle soap come se fosse realtà; come se i fatti e i personaggi, in qualche modo, appartenessero alla nostra stessa vita. Come influiscono sulla vita sociale questi spettacoli? La fiction è anche il piacere del già noto. È un gioco di conferme e di rassicurazioni su quello che siamo, una regressione nello stato infantile; ma nello stesso tempo credo che le mode, gli stili, le ricerche che la fiction traccia, sradichino i vecchi pregiudizi riformulandoli per piccole estrazioni in un nuovo immaginario. Naturalmente credenze e tabù, che erano le proibizioni sul corpo, la negazione del discorso sessuale, le censure dell'agire sociale, tutte queste cose sono cadute, ma vengono ricucite in una nuova favola, dove a volte c'è ambiguità tra realtà e finzione. Però è anche interessante come oggi, al di la delle storie raccontate dentro la fiction, si fondano nelle conversazioni quotidiane i piaceri delle relazioni per discutere queste vicende, dipanarle con nuovi commenti, nuove emozioni, nuove previsioni. Come riscrivere una storia... Esattamente. Uno studioso chiama la fiction parlato circolante, cioè una narrazione quotidiana che diventa un nuovo racconto narrato da noi stessi. Si accresce tutto, quello che si è visto sullo schermo diventa qualcos'altro, soprattutto condivisione. Un modo di raccontare che appartiene molto alle donne, scritto nel codice del linguaggio femminile, che si tratti di chiacchiera, pettegolezzo, confidenza o confessione. È sempre un'esplicitazione dell'intimità, una forma di accadimento, di protezione, un rifugio, una stanza che le donne si ritagliano solo per loro. Dentro la fiction e poi fuori, nel racconto dei racconti. Testimonial occasionali ma importanti come il presidente Ciampi, che ha lodato pubblicatamene la fiction su Salvo D'Acquisto, tendono ad allargare il consenso popolare su questi spettacoli? Sono indicazioni valoriali, come se la ricerca di un tessuto collettivo trovasse dentro la fiction un centro d'interesse. Abbiamo fame di racconti e attraverso le storie, i personaggi, gli spazi e i tempi che si disegnano, troviamo anche degli elementi di riferimento; ed è incredibile cosa avviene oggi con i tormentoni che trasformano il linguaggio. Basta pensare a Nonno Libero e a tutto quello che è riuscito a fare, o al maresciallo Rocca che interviene in diretta al Tg2 dopo la strage di Nassirya come cittadino, ma sullo schermo noi vediamo l'immagine del maresciallo e ascoltiamo la voce di Proietti esprimere il bisogno di rassicurazione che abbiamo nei confronti della legge. Oggi le parole che funzionano sono amore e sentimenti, la condivisione attraverso le emozioni di un sentire comune. Ettore Bernabei diceva che da Omero a Cronin, la narrativa rispecchia il modo di vivere e pensare della gente comune: è un compendio di vite, lotte, problemi concreti legati all'esistenza quotidiana. E questo erano gli sceneggiati. Lo sceneggiato funzionava anche come terapia collettiva? La televisione nasce come istanza pedagogica, e quindi come tentativo di alfabetizzazione e recupero di un linguaggio comune. Oggi sembra che abbia un'intenzione più salvifica, che significa io ti salverò raccontando e fornendo non solo indicazioni, ma insegnandoti il modello femminile che attraverso la trasformazione del proprio corpo può arrivare anche a un'identità più forte. Rispetto alle donne, l'uomo è identificabile nella divisa di carabiniere, poliziotto o di magistrato, nel camice dei medici, nella tonaca dei preti: ognuno di loro corrisponde a un personaggio che si fissa nella nostra memoria e che raccoglie quella voglia di rassicurazione che abbiamo.

Francesco Mannoni

Luisella Bolla, «Incantesimi- Alice nel paese della fiction», Vallecchi, 270 pagine, 19 euro