Questo libro è l'esperienza di un viaggio, dentro e fuori lo schermo, dentro e fuori il mondo dei racconti televisivi. E' un'esperienza di visione. Dove guardare sta per entrare, attraversare, venirne fuori. Saltare nelle porte del tempo. Percorrere le case, i palazzi, le città della fiction. Imbattersi nelle facce dei suoi abitanti. Compiere delle esperienze concrete. Porsi domande concrete. Che razza di paese è mai questo? Dove l'ho già visto, già conosciuto? Non sono le nostre case, queste, i nostri forni a microonde e gli scaffali Ikea che abbiamo comprato il mese scorso? Non sono le facce della porta accanto, quelle dei vicini di casa con il loro catalogo di espressioni fisionomiche, di abiti, di acconciature? Non è il nostro tempo, quello dell'amicizia, dell'amore, ma anche del dolore e delle malattie?
E' un viaggio in cui tocca fare i conti con un bel carico di interrogativi, oltre che con tante immagini e tante sorprese, emozioni e incantesimi.
Le immagini ci piovono addosso da tutte le parti, mentre gironzoliamo nella realtà che esse riproducono, cercando di capirci qualcosa. Le emozioni ci catturano nella forma appassionante delle favole (c'era una volta), della memoria (come eravamo); nelle seduzioni romantiche o nella dimensione nuda e cruda della cronaca.
Ci troviamo in uno strano paese, di Elise e di divise. Dove convivono storie della fantasia e storie della realtà. Storie che raccontano la Storia e storie che raccontano le nostre storie. Dove si fanno incontri affascinanti e ci si imbatte in relazioni pericolose.
Dove trionfa la fiaba – con il suo corredo di amori, passioni ed euforie - e dove sempre più si inciampa nel realismo quotidiano – modi bruschi, violenza, scontro fisico, dolore. Un paese di sogno, uno scenario magico e insieme una presa sempre più diretta sulla contemporaneità.
Il fatto è che le storie, i luoghi, i personaggi di soap, serie a puntate e miniserie, scandiscono sempre di più il nostro tempo, strutturano gli spazi che noi abitiamo, riscrivono le nostre identità, le nostre esperienze esistenziali, il nostro sapere, la nostra cultura.
Lo fanno in modo onnivoro, pervasivo, come la gelatina di blob, come una gomma da masticare che si attacca alle nostre emozioni.
Guardiamoci attorno. I titoli delle fiction si spalmano sul territorio, a cominciare dalle insegne dei negozi (su cui appaiono scritte al neon con Incantesimo, Un posto al sole, Bello delle donne, Centovetrine). Cambia la toponomastica (palazzo Palladini, sulla collina di Posillipo a Napoli, ha preso il posto di Villa Lauro). Nomi familiari battezzano nuovi luoghi (dal caffé Vulcano alla clinica Life alla locanda Bonelli). Sono nomi che ci fanno sentire parte del luogo in cui entriamo.
La fiction riscrive il nostro spazio concreto. Lo rivolta come un guanto. Gli spazi reali diventano immaginari e gli spazi immaginari fondano luoghi reali.
Da una parte, il reale si sforza di riprodurre la finzione. Come a Città della Pieve (Carabinieri) o nella Gubbio di Don Matteo. Chiese, palazzi, piazze storiche che vediamo attraverso le luci, gli scorci, le prospettive televisive. E' la fiction che ci dà le coordinate per orientarci nel nostro spazio, riveduto e corretto attraverso lo schermo: più smagliante, più emozionante… non è mai stato così bello! E' più nostro? Lo sentiamo più nostro? Ma cos'hanno in più, sul video, Palazzo Palladini di Un posto al sole, o il castello di Aglié di Elisa di Rivombrosa, o palazzo Chigi di Ariccia in Orgoglio?
Dall'altra parte, l'immaginazione, la finzione letteraria produce realtà. La Vigàta di Montalbano, luogo inesistente, acquista visibilità, fonda un luogo reale. Il sindaco di Porto Empedocle vuole ribattezzare la sua città Vigàta, in onore di Montalbano. E frotte di turisti invadono la casa sulla spiaggia del commissario per una fotografia, un aperitivo sulla terrazza, un weekend nella sua camera da letto.
E' turismo post-televisivo, dai pellegrinaggi a Cinecittà in visita alla villetta dei Martini di Un medico in famiglia alle città costruite dal nulla per girare le fiction e già pronte ad ospitare turisti e scolaresche, come “Imperium”, il grandioso set di Roma antica ad Hammamet.
Questa porosità, questa osmosi tra quello che sta fuori e quello che sta dentro è l'immagine attuale della fiction, l'immaginario che sta trasformando il nostro mondo in un parco a tema. Un'esperienza dalla doppia natura: emozionale e promozionale, con il valore aggiunto della telegenia.
A loro volta, i personaggi diventano qualcosa di più che semplici figure di attaccamento del pubblico o fonti meravigliose di rassicurazione. Sono personaggi/attori che strutturano l'identità del soggetto reale.
Fuori dal set, dopo la strage di Nassiriya, il Tg2 interpella in diretta telefonica Gigi Proietti. Sullo schermo vediamo l'immagine del maresciallo Rocca in divisa, mentre ascoltiamo la voce dell'attore che esprime all'Italia il suo cordoglio di cittadino. Durante il rapimento di Clementina Cantoni a Kabul, Michele Placido gira un video destinato alla tv afghana che va in onda sul Tg1, presentandosi così: “Sono il commissario Cattani. Vi ricordate di me? Per favore aiutate Clementina!”. La Piovra, che negli anni Novanta èstato il romanzo televisivo della nostra realtà, si dispone nel mondo in forma di racconto visivo. Ancora oggi, dopo oltre un decennio, è una forma di racconto del mondo. Parla un linguaggio comune, universale.
Ma fuori dal set accade anche che un omicidio “reale” venga scambiato dai passanti, in una strada dell'hinterland napoletano, per una scena finzionale della serie La squadra. Mentre dentro il set de La squadra il funerale di Sergio Amato, saltato in aria in un attentato di stampo camorristico, è una sequenza di venti minuti ricalcata sui funerali veri, ufficiali, delle vittime di delitti criminosi.
E poi c'è la promozione di iniziative umanitarie – nella coralità di Un posto al sole e di Un medico in famiglia – e di spot istituzionali - gli inviti contro i botti di Capodanno e contro le truffe agli anziani rivolti al pubblico televisivo dai protagonisti de La squadra.
Ed ecco attori/attrici fare i conti con i loro personaggi. Attori che si identificano con il proprio personaggio, che gli restano fedeli, che cercano di liberarsi delle sue catene. Fuoriusciti che si ribellano. Scorie finzionali da smaltire. Identità fuori dall'ombra del proprio personaggio da riconquistare.
Nel paese della Fiction si incontrano le facce dei reality show, perché oggi diventare attori di fiction è il diapason del successo catodico, e le facce autorevoli dei grandi personaggi della Storia: un vero e proprio cantiere di identità in cui riconoscersi o da ripudiare, in continuo aggiornamento, da Madre Teresa a Salvo d'Acquisto, da Mussolini a Papa Giovanni. Si fa conoscenza con un turbine di presenze che lottano contro la rimozione e contro l'oblio: Borsellino, Perlasca, la meglio gioventù, Sacco e Vanzetti, a cui il tempo galantuomo della fiction restituisce memoria e coralità del ricordo. Si sovrappongono le facce delle icone popolari, come Padre Pio, con il profilo bifronte di Sergio Castellitto e Michele Placido, simili a due torri gemelle. Icone che escono dallo schermo – e dal tempo straordinario - per disporsi nei calendari e nei gadget ed accompagnarci nel tempo ordinario, quotidiano. Per stare sempre con noi.
Intanto, a dire la loro, nel Paese della Fiction intervengono politici, uomini delle istituzioni, ministri, lo stesso presidente della Repubblica: ognuno vuole la sua fiction, vuole che il suo personaggio ideale, o un'idea, un valore, un problema sociale venga raccontato nella forma narrativa dello sceneggiato. Che diventi una storia. Diventi racconto. Perché le piccole narrazioni della fiction sembrano supplire le grandi narrazioni storiche: una sorta di nuova educazione al linguaggio dei miti, ma anche una nuova iniziazione ai valori universali, etici e morali. Sono una piccola spia della contemporaneità, di ciò che siamo, del mondo in cui viviamo. E anche una prefigurazione dei desideri, dei sogni, di quello che vorremmo essere, magari con qualche scheggia di utopia. Mentre parlano dello stare al mondo, le storie della fiction dischiudono all'immaginazione nuovi mondi. E ci invitano ad abitarli.
Che lo vogliamo o no, le storie e i personaggi della fiction televisiva entrano nelle nostre case. Attraversano in lungo e in largo la nostra giornata. Fanno parte della nostra domesticità, perennemente in bilico tra dentro e fuori lo schermo. Ed entrano nell'alfabeto visivo del presente: un esperanto fatto di primissimi piani, flashback, tormentoni lessicali, colpi di scena. Una lingua comune di sentimenti, passioni, conflitti. Di gioie e dolori. Che a nostra volta raccontiamo e riscriviamo: nelle conversazioni quotidiane e nei forum dei fans-club quante storie nascono dal racconto di una storia?