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Con la partecipazione straordinaria di ..

Alberto Abruzzese, Tina Bianco, Luisella Bolla

Con la partecipazione straordinaria di…

Dieci anni di varietà televisivo

VPT, ERI/Edizioni Rai, Torino 1985,
1° vol. (pp.229) e 2° vol (pp.232)

Il varietà: una composizione di frammenti spettacolari, una giustapposizione di numeri in sequenza.  Sigla, sketch, balletto, ospite, numero musicale. Una sequenza lineare, piana, distesa, giocata sul rapporto costante pieno-vuoto, numero-raccordo-numero. Quella di Studio Uno, per intenderci. Dove i singoli segmenti erano forme di una composizione da leggere nella cornice dell’intero testo spettacolare. Dove il ritmo non era semplice rapporto tra spazio e tempo, velocità misurata sulla visione, ma una successione regolata di accenti spettacolari tale da creare un insieme in movimento.

Questo il leitmotiv del varietà anni Sessanta: un modello regolare, privo di scarti, laddove la fisionomia dei generi era ben individuata e definibile: c'era lo spettacolo musicale, c'era il gioco-quiz, c'era lo spettacolo abbinato alla Lotteria di Capodanno. E c'erano le Kessler, Mina, Rita Pavone, Johnny Dorelli, Don Lurio, Alighiero Noschese, Gorni Kramer. C'era Alta pressione, Sabato sera, Lei non si preoccupi, Canzonissima, Scala Reale, Partitissima.

A cavallo degli anni Settanta-Ottanta lo scenario cambia. Sono gli anni che annunciano la compulsazione enciclopedica del telecomando e l'avvento dei network privati, che sconvolgeranno l'assetto tradizionale della programmazione del servizio pubblico. Di fronte ad uno spettatore sempre più smaliziato, il varietà prende la strada della metamorfosi, della contaminazione, della frammentazione. Le tendenze centrifughe sfaccettano la superficie tradizionale del genere.

I conduttori cominciano ad interagire con il pubblico in sala (Noi…no, Se Parigi, Fantastico); i ritmi coreografici del balletto vengono modellati sulla videomusica (le varie edizioni di Sotto le stelle); la trasformazione dello sketch in gag è proiettata sui linguaggi dello spot pubblicitario e della sua parodia (Chewingum show, A tutto gag); i generi televisivi – la gara, il quiz, il giallo, il telefilm – si aprono a citazioni espanse in tutto il circuito dei media, dal cinema alla televisione stessa (Ci pensiamo lunedì con le parodie dei serials “Dallas” e “Dinasty”; Due ragazzi incorreggibili con la serie “Sandogat” di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia; Happy Circus che rifà il verso ad Happy days).

Ritmo sempre più convulso, sempre più finzione narrativa ad intrecciare la rassegna fantastica dei numeri (il regno della fiaba in C'era due volte con Cicciolina nei panni di Cenerentola; l’astronave e la corte del pianeta guerriero di Galassia 2, con Ania Pieroni).

Il varietà è sempre più ibrido, sempre più contenitore elastico che si modella sulle modificazioni del sapere del suo pubblico. Un crescente trasformismo rivisita le strutture spettacolari antecedenti all'intrattenimento televisivo, in primo luogo quelle teatrali e radiofoniche e le combina liberamente, usandone gli stereotipi e i pezzi forti come risorse ludiche, leggere, evanescenti.

Dal circo pręt-à-porter, con i numeri di acrobazia, la clownerie, l'illusionismo (Zim Zum Zam condotto dal mago Alexander, E adesso andiamo a incominciare, con Gabriella Ferri, Lo scatolone con Ambra Orfei, Al Paradise con Laura Orfei) al cafè chantant e all'avanspettacolo (Dove sta Zazà Mazzabubù, Milleluci). Dal melodramma all'operetta e alla rivista (Il cappello sulle ventitrè, Bambole non c'è una lira). Dal musical (Al Paradise presenta Cats in forma di balletto-sketch-numero musicale) al cinema e alle sue storie, ai suoi miti, al suo divismo (Studio 80, con le sequenze dei film con Bogart; Le Regine, con le sequenze dei film con la Garbo).

Tutto diventa citazione, riciclaggio, travaso nel presente. Un gioco di scatole cinesi, dove viene ripescata la campanella del Musichiere e le gemelle Kessler si auto-citano in “La notte è piccola per noi”; dove si mescolano la discomusic di Claudio Cecchetto (Scacco matto), le magie di Silvan e le imitazioni di Gigi Sabani. Dove il fregolismo di Gigi Proietti si contamina con la “ceralacca” marionettistica di Heather Parisi. Dove c'è posto per gli sketch demenziali di Diego Abatantuono sulla “condizione invivibile” (Due di tutto), mentre Ombretta Colli sul lettino dello psicanalista confessa la sua doppia natura di strega-Biancaneve e irrompono terroristi che sterminano famiglie-punk vittime della televisione (Passa parola).

Il passato è una scoria meravigliosa a cui attingere, ma anche da stravolgere, coniugando spettacolo e divertimento sulla contemporaneità, sui rituali domestici e sociali del telespettatore. Un telespettatore che ha imparato a riconoscere i linguaggi dei media, a destreggiarsi tra le culture dello spettacolo. Un telespettatore che impugna il telecomando, che preme il pedale tra attesa e sorpresa.

Il varietà si presta magnificamente a questa strategia ludica: è un corpo sfaccettato di personaggi, set, narrazioni.

Resistono i vecchi filoni spettacolari condotti dalle figure carismatiche della tv: da Rascel (La porta magica) a Corrado (Gran Canal) alle coppie Mondaini-Vianello (Tante scuse, Noi…no, Stasera niente di nuovo) e Franchi-Ingrassia (Drim, Patatrac). Ma sono attraversati  dalla nuova cultura elettronica che diventa strumento e strategia di gioco, piuttosto che veicolo e celebrazione della nostalgia.

Anche la rievocazione delle “chicche” del varietà di Dadaumpa ridesta alla memoria del pubblico i successi dei mattatori, dei cantanti, dei set, delle sceneggiature, ma sulla scena televisiva intanto entrano lo spazio invisibile della radio con Cari amici vicini e lontani e il retroscena del magazzino Rai di Tagli, ritagli e frattaglie, con la muta archivista Lory del Santo concupita da Renzo Arbore e Luciano de Crescenzo.

La febbre del varietà del sabato sera lascia il posto a mode, infatuazioni, look. Ma la tv è anche e ancora talent-scout: trampolino di lancio per Roberto Benigni e Televacca, Massimo Troisi e Annunciazione, annunciazione!, Beppe Grillo e Te la io l'America. Alla spettacolarità nutrita di qualsiasi frammento atto a decorare lo spazio del set si affianca l'affondo nei linguaggi della demenzialità, miscelati tra kitch e surrealtà.

Siamo in ballo, balliamo.